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Giannina Ottolini

“Ginin”, crocerossina e partigiana
2 aprile 2020
L’anno scolastico scorso l’insegnante di storia ha chiesto alla classe di mio nipote Eric di raccogliere testimonianze presso familiari di notizie dei tempi passati. Ci siamo accordati che gli avrei raccontato di mia zia partigiana, un modo per lui di avere un po’ di notizie sulla nostra famiglia e per me di mettere insieme ricordi, appunti e documenti sparsi che non avevo prima riordinato*.
Giannina Ottolini “Ginin”
Ricerca familiare di Eric Realini [1]
 Note biografiche essenziali
Giannina Ottolini (1904 – 1997)
Giannina, crocerossina e partigiana col nome di battaglia “Ginin”, faceva parte della brigata Stefanoni – Divisione Valtoce che operava sopra Stresa, sul Mottarone. Era la zia di mio nonno.
Era nata a Pallanza il 15 aprile 1904 e deceduta il 21 aprile 1997; è vissuta a Stresa nella casa di famiglia di Via Al Castello, nubile. Cattolica praticante era Terziaria francescana.
 Il Racconto di mio nonno Gianmaria
Ho un ricordo molto vivo di mia zia. Era un donnino minuto ma dal carattere forte e determinato. Andavamo spesso a trovarla nella sua casa di Stresa, un appartamento ordinato e pieno di bellissimi oggetti di una volta: mobili di noce, quadri (alcuni dipinti da lei), soprammobili, ecc. Ricordo in particolare un bellissimo binocolo da teatro in madreperla e manico argentato. In un cassetto nella sua camera teneva sempre dei giocattoli che regalava ogni volta a me e ai mie fratelli quando eravamo piccoli e, anni dopo, ai miei figli quando ritornavamo a trovarla.
Parlava raramente della sua esperienza di partigiana e perlopiù in termini generali sui valori della resistenza e sui motivi per cui “non riusciva a sopportare” il fascismo. Quando insegnavo al Cobianchi con una collega ricercatrice storica (Gisa Magenes di Omegna) abbiamo organizzato una sua intervista; nemmeno in quella occasione siamo riusciti a farla parlare di sé, se non per piccoli episodi. Anche tra la sue carte dopo la sua morte non trovammo molto: tesserini partigiani, documenti di riconoscimento della sua attività di partigiana, attestati di stima e riconoscenza dei suoi ex commilitoni e pochi fogli di un diario molto essenziale su quegli anni.
Quello che ti racconterò su di lei in parte deriva da quanto detto sopra e in parte da documenti raccolti in seguito anche con le attività presso la Casa della Resistenza e probabilmente rappresentano solo una piccola parte di quello che effettivamente ha compiuto. Un vecchio partigiano di Stresa ogni volta che lo incontro alle commemorazioni mi dice “Ah, la zia, il Ginin, ha fatto molto … ha fatto molto!”.
Gli Ottolini a Stresa
Il cognome Ottolini è molto diffuso a Stresa. Sembra che abbia origini nel X secolo quando Ottone I stazionò con le sue truppe sul Lago d’Orta: i figli naturali di quelle truppe sembra fossero chiamati Ottolini, ovvero i “piccoli di Ottone”. Cognome infatti diffuso sul Mottarone e sul suo versante verso il Lago Maggiore, isole comprese. La studiosa di storia stresiana Vilma Burba dice infatti che:
“Ottolini è un nome di tutto riguardo per Stresa che ha annoverato dal 1617 ben sei sindaci con quel cognome, l’ultimo dei quali fu proprio Eugenio il papà di Giannina”[2].
 Il sindaco Eugenio Ottolini

Avv. Eugenio Ottolini
Eugenio Ottolini, mio nonno, era nato a Stresa nel 1862 da Agostino e da Teresa Bolongaro. Laureato in Giurisprudenza a Torino nel 1885, esercitò quale avvocato presso il tribunale di Pallanza. Per venti anni fu Sindaco di Stresa con tre successivi mandati dal 1894 al 1913. In tale veste partecipò a partire dal 1897 al Comitato per la linea di raccordo al Sempione Arona-Gravellona, nato per ottenere un collegamento diretto fra Milano e la galleria del Sempione, che si stava costruendo in quegli anni, in alternativa alla linea, verso Genova, Gozzano – Domodossola che penalizzava i paesi lacustri e aveva mostrato criticità per i trasporti pesanti.
Fu inoltre Sindaco della Società Ferrovie del Mottarone che gestiva la ferrovia a cremagliera Stresa – Mottarone, iniziata nella primavera 1910 e ultimata nel luglio 1911.
Aveva sposato in secondo matrimonio Maria Mascarini, originaria di Baveno, ed ebbe tre figli: Teresa, Giovanna (Giannina) e mio padre Augusto. Aveva poi trasferito la sua residenza e il suo studio di Avvocato a Pallanza per essere più vicino al tribunale che era allora collocato in Via Cadorna nei locali oggi occupati dall’Archivio di Stato.
Il nonno Eugenio morì all’Alpino, sopra Stresa, a 73 anni nel 1935.

Giannina Ottolini: studi e attività di Crocerossina
La zia era nata a Pallanza nell’aprile del 1904 e aveva studiato fino alla V Ginnasio; la sua vocazione fu poi quella di infermiera iscrivendosi pertanto al primo e al secondo corso di Infermiere della Croce Rossa ottenendo in entrambi i casi il diploma con il massimo dei voti e operando tra il 1935 e 1938 come infermiera all’Ospedale di Pallanza.
Venne poi nominata direttrice della Colonia estiva della Croce Rossa Novarese a Marina di Massa (estati del 1938 e 1939) e dall’ottobre del ’38 viene nominata responsabile delle infermiere volontarie che facevano capo alla CRI di Pallanza. Con questa funzione organizzava i corsi di formazione per le infermiere volontarie. In questi stessi anni operava come Assistente Sanitaria presso l’OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) con la responsabilità di sei consultori tra Baveno e Arona.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la Croce Rossa si impegnò per la assistenza di feriti e ammalati provenienti dai fronti della guerra: per far fronte alle nuove esigenze si organizzarono molti corsi per infermiere volontarie.
A Pallanza Giannina tra il 1939 e il 1945 organizzò infatti tre corsi.
A Baveno venne aperto un ospedale militare con tre sedi in alberghi requisiti: il Sempione, il Bellavista e il Lido. I feriti provenivano in particolare dal fronte greco e da quello jugoslavo.  La zia fu nominata coordinatrice responsabile delle infermiere volontarie della CRI che operavano nell’ospedale militare plurisede di Baveno, dall’agosto 1941 sino al luglio 1945.
Dopo l’armistizio dell’8 Settembre del 1943 la zia riuscì anche a far curare di nascosto partigiani feriti o ammalati. Tra i medici che operavano negli ospedali militari di Baveno vi era anche il dr. Chiappa che faceva parte del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Verbania.
Scrive la zia nei suoi appunti:
“Sino dal settembre 1943 con le Infermiere Volontarie della C.R.I. alle mie dipendenze, in servizio all’Ospedale Militare Territoriale di Baveno, avviavo quei militari guariti che non intendevano prestare servizio nella Repubblica Sociale, procurando loro abiti civili, presso famiglie amiche o, per la maggior parte avviandoli sul Mottarone alla ricerca di compagni a cui unirsi aiutati frattanto dagli alpigiani.”


La Brigata partigiana Stefanoni e i fratelli Boeri
Sul Mottarone nuclei di partigiani erano già presenti, subito dopo l’8 settembre, nella zona fra Gignese e Massino Visconti. Con un lancio paracadutato nel Marzo del 1944 Enzo Boeri e due tecnici diedero vita ad un stazione radio clandestina che collegava il CLN di Milano con i servizi informativi alleati presenti in Svizzera.
Questo il racconto di Giannina in una sua nota scritta a mano:
“Un ufficiale medico [Enzo Boeri], di vecchia tradizione antifascista, già prigioniero degli alleati, prende accordi con questi e si fa paracadutare con due tecnici inglesi e una radio ricetrasmittente tra i boschi e le ville sopra Stresa per iniziare un collegamento tra le forze antifasciste e gli alleati sbarcati in Italia. Tale collegamento si svolgerà tra il C.L.N. (Comitato Liberazione Nazionale) della Lombardia sede Milano e gli alleati. Staffette giornalmente portano ordini, notizie ecc. tra Milano e Stresa. Il primo nucleo trasmette da una villa ai confini di Stresa, poi si sposta, per sicurezza, nella zona sopra Gignese e attorno a esso si raggruppano elementi isolati, altri che salgono sui monti in seguito e si forma la Brigata Stefanoni e Abrami della Divisione Valtoce.
Le radiotrasmittenti in seguito diventano tre coi loro tecnici e i loro uomini di protezione e difesa, dislocate a breve distanza da una vecchia miniera abbandonata di piombo; tale zona fu scelta a proposito: per quante incursioni vengano fatte dai nazifascisti per catturarle, non riescono mai a localizzarle,”

Nel luglio i gruppi di partigiani del Mottarone si riunirono nella Brigata Stefanoni inquadrata nella divisione Valtoce. Dopo la morte del primo comandante, tenente Angelini, il comando fu assunto da Renato Boeri (Renatino), fratello di Enzo[3]. La brigata, con l’aumento delle reclute, si suddivise dando vita alla nuova brigata Abrami dislocata sul versante ovest del Mottarone. Nel dicembre Boeri inquadra la Stefanoni nelle formazioni Giustizia e Libertà.
Dopo la liberazione di Stresa e di tutto il territorio Alto novarese (24 Aprile 1945) le due formazioni si diressero a Milano per contribuire alla sua liberazione.
Mia zia era molto legata a “Renatino” Boeri e tra le sue carte era costudita la copia di due documenti che lo riguardavano; quando il figlio Tito, presidente dell’INPS, era alla Casa della resistenza per un convegno, ha potuto ascoltarne commosso il contenuto[4]. Si tratta della chiamata alle armi da parte del distretto di Milano e della splendida risposta che Boeri diede su carta intestata della sua brigata. È un importante documento che ti leggo integralmente perché aiuta a capire qual è stato lo spirito e i valori della resistenza.

Distretto Militare di Milano I° (23)
Al Sig. Boeri Renato, Via Sandro Sandri 1
Città, Milano li 27 Novembre 1944, (classe 1922)
 “Siete tenuto a presentarvi a questo Distretto il giorno 5 Dicembre nelle ore antimeridiane per essere avviato alle armi.
Non ottemperando al presente invito, questo Distretto provvederà alla denuncia per il reato di renitenza.
Il maggiore Capo Ufficio (… Faiella)
Divisione Patrioti “Valtoce”  Sede 1 febbraio 1945
La vita per l’Italia
VIIa Brigata Paolo Stefanoni
 
Al maggiore Faiella capo ufficio reclutamento e matricola
Distretto Militare Milano I. (23)
 “Egregio maggiore,
Con mia somma meraviglia ho ricevuto un biglietto da Lei firmato in data 27/11/44 con cui mi si ingiunge di presentarmi a codesto distretto per essere avviato alle armi.
Sino a prova contraria Le posso rispondere che io mi trovo alle armi quale volontario in forza presso codesta divisione di patrioti dal marzo 1944. Data la mia funzione potrei quindi anch’io, a mia volta, mandare a Lei un biglietto dello stesso tenore. Ma noi siamo molto lontani non solo di chilometraggio ma anche di spirito. La invito quindi ad un serio esame di coscienza: servirà, se non altro, ad una notevole economia di carta, perché sono convinto che Lei non insisterà più nello spedire avvisi di tal genere al mio indirizzo di Milano. Io L’attendo invece qua, in montagna, dove l’aria è pura, la salute ottima è dove si fa l’Italia libera.
Mille cari saluti, egregio maggiore, a Lei e al suo poco numeroso distretto.”
Il Comandante di Brigata, Renato Boeri

“Ginin”: la partigiana
È nel Marzo del 1944 che la zia, sapendo che alcuni barcaioli di Stresa erano in contatto con i partigiani del Mottarone, chiede tramite uno di loro, di poterli contattare. L’incontro avvenne presso il collegio Rosmini, sopra Stresa. Grazie alla sua libertà di spostamento per suo lavoro di infermiera e di responsabile dei consultori OMNI, i due comandanti della brigata Stefanoni le assegnarono il ruolo di responsabile del servizio informazioni della brigata.
Dall’Aprile del 1944 Giannina è a tutti gli effetti partigiana con il nome di battaglia “Ginin”.
Oltre al ruolo informativo, trasferimento di dispacci, informazioni, stampa e altro materiale clandestino, in più occasioni esercitò il ruolo, per lei naturale, di infermiera, curando partigiani feriti salendo, anche di notte, sul Mottarone.
Nei suoi appunti ricorda in particolare il partigiano Franz ferito, che era necessario operare al più presto:
“Lo portarono alla villa dei Pariani, ove il figlio studente del secondo anno di medicina era sempre disposto ad aiutare. Mi chiamano e nella notte lo operiamo togliendogli un proiettile dalla coscia; ricucitura, disinfezioni, ipodermoclisi, e via in una casa amica per la cure e la convalescenza.”
Quando fu arrestato Renato Boeri, si attivò per la sua liberazione; ecco il suo racconto:
“Il 29 Novembre 1944, durante il rastrellamento tedesco del comandante Krumer, seguito alla cattura da parte dei nostri di due tecnici tedeschi e un italiano muniti di radiogoniometri alla ricerca delle ricetrasmittenti, fu ucciso Fachiro e catturati Renato e altri quattro partigiani avviati subito all’ Albergo Bella Vista di Baveno, carcere ed alloggio delle S.S. alle dipendenze del Comandante Stamm. Chiamato subito un sacerdote, Don Ettore di Stresa, per le trattative per lo scambio con Krumer e Stamm, io salii alla ricerca di partigiani ancora nascosti, per gli accordi sia della ancora esistenza in vita degli ostaggi, sia del luogo ove erano stati mandati. Per le trattative occorsero parecchi giorni, e una sera, nell’ uscire dal cancello di Villa Boeri ove ci eravamo trovati coi Borroni, Antonia Boeri, Popi e un altro partigiano, Don Ettore ed io fummo fermati da militi delle Brigate Nere, riaccompagnati alle nostre case con l’ordine, il mattino, di presentarci alla sede del Comando delle Brigate Nere. Interrogatorio avvenuto senza danni. (…)
Lo scambio avvenne felicemente come si sa ad Omegna.”
Grazie alla sua divisa di crocerossina, che di giorno indossava sempre, poteva muoversi liberamente, col battello tra Pallanza e Stresa o in bicicletta tra Baveno e Arona, passando indenne i posti di blocco.  Anche durante la liberazione dell’Ossola (settembre-ottobre 1944) riuscì a entrare nella “Repubblica” per stabilire i contatti fra le formazioni. Riuscì, talvolta, anche ad usufruire di passaggi da parte delle truppe occupanti come nell’ episodio da lei ricordato:
“Un pomeriggio vengo avvertita da una staffetta di andare il più presto possibile a Villa Lesa in casa di Cefis ove la moglie di Alberto mi aspetta. È quasi buio, siamo in autunno e ho bisogno di un mezzo di fortuna che trovo nell’ automobile di due ufficiali tedeschi all’ interprete dei quali, sceso per acquisti in farmacia, chiedo un passaggio per Villa Lesa ove ho la sede di un Consultorio O.N.M.I.
Arrivo, la moglie di Cefis raggiante mi apre la porta di casa ove trovo Alberto arrivato dalla Svizzera attraverso il lago con una lunga remata notturna. Vuol sapere cosa è avvenuto sul Mottarone nel frattempo e mi incarica di avvertire Renato del suo arrivo.”
Si arriva all’ Aprile del 1945 con gli ultimi eventi concitati che portano alla liberazione del territorio:
“24 aprile discesa al piano dei Partigiani per occupare Stresa. Come al solito il mattino alle 7 arriva da me Carluccio con ordini e informazioni, ma oggi mi dice di scendere subito sul lungolago che i nostri stanno arrivando. Trovo Aniceto coi suoi che punta le armi contro 4 o 5 barche di colme di militi fascisti che già al largo stanno avviandosi sull’ altra sponda; devo, dietro segnalazione di un uomo, avvertirlo di desistere perché su ogni barca c’è un barcaiolo come ostaggio.
Andiamo all’ albergo Regina per consegnare ai proprietari, nostri amici, l’ordine di trattenere nelle camere gli ospiti quasi tutti caporioni fascisti qui alloggiati, e lascio uomini armati.”
È sempre in quel giorno che la zia riconosce il tenente Helmut Günter, comandante del presidio di Meina che probabilmente stava cercando di unirsi alla “colonna Stamm” posizionata a “Baveno”.
“Lascio Aniceto e incontro Lupo, due parole e arriva una camionetta tedesca. Lupo la ferma e tutti e due riconosciamo Günter il vice comandante di Stamm delle S.S. con due soldati; viene disarmato e con uomini di Lupo avviato sul Mottarone quasi sguarnito di uomini ma dove Tino vigila con i suoi e lo fa prigioniero.”
 Passata la colona Stamm, con in vista partigiani prigionieri per impedire azioni armate e defluire verso Novara dove si arrenderà, a Stresa si può finalmente festeggiare la avvenuta liberazione. La zia è in prima fila nel corteo dei partigiani che sfila lungolago ed è immediatamente distinguibile, con la sua divisa di crocerossina, nella folla che sotto il municipio ascolta il discorso del comandante Renato Boeri.
Il dopoguerra
Dopo il 25 Aprile nei comuni, in attesa delle regolari elezioni, vennero costituite delle giunte provvisorie, le cosiddette “Giunte della Liberazione”. A Stresa la giunta venne riunita dal sindaco Giuseppe Zanone e la zia Giannina ne fece parte il quale assessore alla Assistenza e alla Beneficenza. Fu così la prima donna ad assumere a Stresa un ruolo pubblico. Rimase in carica fino all’ Aprile del 1946 quando, in seguito alle elezioni del 31 Marzo, venne istituito un Consiglio comunale e una giunta regolarmente eletti.
Nella sua attività di infermiera fu nominata del dopoguerra Ispettrice generale della Maternità e Infanzia del Verbano. Continuò a occuparsi delle infermiere volontarie della Croce Rossa con il ruolo di Ispettrice presso il Comitato di Pallanza fino a quando questo fu soppresso nell’ Aprile del 1967 per mancanza di nuove volontarie.

Dopo alcuni anni di attività artigianale, una piccola sartoria collocata nel sotto tetto della sua casa in via Al Castello, lavorò fino all’età della pensione nella segreteria della Scuola di Avviamento, poi Scuola Media, di Stresa.
Cattolica praticante e Terziaria francescana, visse in modo riservato e laico la sua fede; politicamente durante la Resistenza era vicina al Partito Azionista e, nel dopoguerra, al Partito Socialista.
 
Sempre legata alle iniziative delle Associazioni partigiane, collaborò al reperimento della documentazione per il Museo Alfredo Di Dio di Ornavasso.
 Morì pochi giorni dopo il suo 93° compleanno; riposa nel cimitero di Stresa nel loculo collocato accanto ai famigliari (genitori, zia paterna e fratello).
Al suo funerale, presenti le delegazioni partigiane e il gonfalone del Comune di Stresa, venne letta, per suo esplicita volontà, la “Preghiera del ribelle” di Teresio Olivelli.
Si certifica che la Sig.na Gianna Ottolini fu Eugenio è stata alle dipendenze di questa Divisione nella VIIa Brigata G.S. Paolo Stefanoni dal Marzo 1944 al Giugno 1945 in qualità di Capo del servizio informazioni della Brigata stessa.
Essa è conosciuta a questo Comando come elemento attivissimo che diede tutto di sé per il raggiungimento dei compiti destinati a Lei. La VIIa Brigata, che ha il vanto di avere organizzato un servizio di informazioni che le riuscì tanto prezioso e che riscuoté il riconoscimento ed il plauso del Comando Generale e della Missione Americana dislocata in Zona Ossola, deve all’ Opera instancabile e felicemente realizzatrice della Signorina Ottolini questo primato.
Essa (nome di battaglia “Ginin”) ha in corso la pratica per il riconoscimento partigiano e per l’accordo di una decorazione al valor partigiano per il suo nobile e coraggioso comportamento.
In fede
Il Comandante la Brigata Stefanoni    
Renato Boeri
 
10.    Testimonianza di Giorgio Buridan e un ricordo di Renato Boeri
Estratto da “I camionisti della Rumianca”, di Giorgio Buridan
(in: Fatti e persone nella mia vita. Inedito)[5]
Luglio 1943: dopo la caduta del fascismo, il Governo militare Badoglio combatteva ogni forma di opposizione democratica. Mentre gerarchi e gerarchetti circolavano tranquilli, molti esponenti antifascisti – dai liberali ai comunisti – venivano arrestati o, comunque, diffidati dal prendere posizioni contrarie al Regie Militare. A quel momento ero già entrato nella Resistenza: presentato, subito dopo il 25 luglio, dal mio amico Renato Boeri a Ferruccio Parri, avevo avuto da questi l’incarico di costituire un Servizio di distribuzione della stampa clandestina nella zona del Lago Maggiore e, in seguito, nel Cusio e Ossola.
Mi ero dato da fare con amici, ma non era facile perché, dopo l’arresto di un avvocato di Pallanza, tutti avevano paura. Tuttavia, alcuni avevano aderito e ci stava dando da fare. Gli inizi erano stati goliardici e giocosi. Avevamo ricevuto manifestini antibadogliani e li attaccavamo alle piante, ai muri, dovunque. I passanti li guardavano con diffidenza anche se si intuiva che erano d’accordo. Poi arrivavano i carabinieri e facevano sparire i manifestini. Noi aspettavamo che si fossero allontanati e poi li riattaccavamo allo stesso posto. Un giorno mi aveva preso sul fatto un maresciallo, con minacce di denuncia, ma nemmeno lui pareva troppo convinto e così era tutto un gioco.
Intanto, ero riuscito a convincere una persona che sarebbe stata utile: la signorina Ottolini, di professione infermiera diplomata e perciò munita di lasciapassare che l’autorizzava a circolare anche dopo le ore di coprifuoco (ore 19). Inoltre, essendo infermiera andava al lavoro con il battello e poteva così portare con sé un certo numero di copie da distribuire ad altri fidati amici che, a loro volta, le avrebbero fatte girare.
Io, invece, usavo la bicicletta perché era il mezzo migliore per non essere notati. Avevo un portapacchi a molla sul manubrio e “pinzavo” un buon numero di copie strettamente arrotolate.
Dopo circa un mese dall’invito di Parri – anzi mi piace chiamarlo come allora “Maurizio” o “lo zio” – la mia rete di distribuzione funzionava molto bene e ne ero orgoglioso. Intanto però la situazione andava facendosi pericolosa: non era più il tempo scherzoso dei manifestini antibadogliani, si era in clima di fascismo e si era formata la Repubblica di Salò. E qui comincia la storia dei miei amici ai quali dedico questa memoria: gli eroici camionisti della Rumianca.
Quasi ogni giorno a Milano, un delegato del Comitato di Liberazione (CLN), che non conoscevo, contattava uno dei camionisti di turno che rientrava, dopo la consegna del carico, a Villadossola.
All’autista venivano affidate, secondo le disponibilità delle tipografie clandestine, alcune centinaia di copie di giornali: Italia Libera, Unità, Avanti, Risorgimento Liberale e altri.
Le copie venivano nascoste in un ripostiglio sotto il cruscotto per essere “lanciate” ad una data ora in un luogo prestabilito.
Il posto era a due chilometri da Stresa, lungo un rettilineo che costeggiava il lago tra una siepe di cespugli.
L’incaricato del ritiro dei giornali doveva trovarsi sul posto all’ora precisa del passaggio del camion (cosa difficile perché potevano esserci ritardi o anticipi, secondo il traffico lungo il percorso). Quindi, era necessario appostarsi “a monte” del punto X e aspettare che il camion passasse lanciasse. Soltanto allora, assicurandosi che nessuno avesse assistito, si raggiungeva il cespuglio dove il fascio di giornali era caduto, lo si attaccava al portapacchi sul manubrio e via.
Ma poiché talvolta le consegne non erano di un solo camion ma di due, arrivava una telefonata: “Questa sera saremo in due a cena”, e un’altra persona doveva aggiungere il posto prestabilito. Infine, recuperate tutte le copie, ci si trovava, ogni volta in abitazioni diverse, per fare lo smistamento.
Eravamo in tre a “conoscerci”: io che dirigevo il Servizio, il mio compagno Aniceto e l’infermiera Ottolini. Gli altri che facevano le consegne non sapevano tutti i nomi, misura prudenziale già adottata dalle vecchie cellule del Partito Comunista Italiano.
(…)
Il Servizio di distribuzione andò avanti per tre mesi…
Finché un giorno… L’arresto di un elemento liberale di Pallanza sconvolse i piani. Tralascio il nome di questo arrestato: era un degno professionista che, al momento di essere fermato con le copie in tasca, si prese paura e, portato a Novara alla caserma delle Brigate nere, con minacce di botte e tortura, rivelò i nomi che conosceva. Per fortuna non molti, data la nostra prudenza di isolare ogni cellula.
Però ci furono numerosi arresti. Io riuscii non so come a scamparla. Ma avevo il dubbio che il mio nome fosse stato segnalato e che aspettassero il momento adatto per arrestarmi e poter prendere altri.
A Milano, chiesi consiglio sul da farsi. Era incerto, dibattuto tra l’importanza che il Servizio continuasse a funzionare e il pericolo che correvo. Mi chiese, molto esplicitamente, se me la sentivo di rischiare. Risposi di sì ma che ero preoccupato per i compagni più vicini. Allora mi comandò di passare tutte le consegne all’infermiera Ottolini, che avrebbe diretto il Servizio, e mi ordinò di raggiungere al più presto in bassa Val d’Ossola, la costituenda formazione “Valtoce” con il grado di Commissario Politico di Brigata per il Partito d’Azione.
Si concluse così il mio Servizio al quale avevo lavorato tanto.(…)
Il testo è parzialmente riportato in Giorgio Buridan, …in cielo c’è sempre una stella per me …, Tararà, Verbania, 2014, p.28.
Da qui anche questo ricordo di Renato Boeri:
Renato Boeri così si rivolge ai presenti a Coiromonte nel suo discorso commemorativo del 25 aprile 1975: “…ricordate amici e compagni partigiani … quando la Ginin o il vecchio pà Mena ci portavano dall’ Alpe Formica ai nostri rifugi nascosti il pane, la polenta e le castagne affumicate per sopravvivere …”[6] .
 ——————————

[1] Classe 1aB, Scuola Media Monti Stella, Verbania Pallanza, a. s. 2018-2019.
[2] “Madama Bolongaro e le Donne di Stresa. Ricostruzione storica”, reperibile sul web: qui.
[3] Sui fratelli Boeri cfr. Enzo Boeri, Renato Boeri; sull’attività della Stefanoni cfr. in particolare le tre puntate de I ribelli della Presa pubblicate sull’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola.
[4] Cfr. La sorpresa della Casa della Resistenza a Boeri è il ricordo del padre partigiano.
[5] Fattomi precedentemente pervenire da Maria Silvia Caffari, che qui ringrazio.
[6] L’insieme delle informazioni riportate sono a pag. 28 e 29 (note 11 e 12). Il testo di Buridan è curato da Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi.

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La stagione è favorevole, il verde della primavera è luminoso, la fioritura esuberante, il silenzio rotto da una brezza avvolgente e da quel “picciol suon di cetra (che) tenue tra i sassi fluì” (G. Carducci): questa passeggiata è per tutta la famiglia. La Strada del Forte di Bara è un percorso che ci porta ad una totale immersione nella natura, nella storia, nella pace dei monti, nella speranza di eventi favorevoli, seppur venata dalla nostalgia di cari ricordi. Questo luogo è in grado di rappresentare un arco di storia esteso, una presenza umana di diverse radici, un'atmosfera di grande suggestione paesaggistica, insieme alla memoria dei valori fondanti della Liberazione Nazionale e della Repubblica Italiana.

Partendo dal paese di Ornavasso, si giunge all'Antica Cava del Duomo di Milano sul cui antro gettare lo sguardo a tempi trascorsi al ritmo lento della fatica dei cavatori e del trasporto del marmo  fino a Milano, lungo le acque della Toce, del Lago Maggiore, del Ticino e dei Navigli. Siamo nel 1387 con l'istituzione della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano su impulso di Gian Galeazzo Visconti che iniziò la costruzione con il marmo rosa di Candoglia, la cui cava è chiaramente visibile sulle montagne di fronte, per utilizzare anche il marmo di Ornavasso e consacrare l'altare maggiore nel 1418, continuando poi fino ai nostri giorni con i restauri.

Addentrandoci sulla strada sterrata, siamo sommersi dal verde dei boschi misteriosi di maestosi castani, di larici e ontani, regno incontrastato di uccelli canori, sicuro rifugio di giovani partigiani nei lunghi mesi dell'ultima guerra. La loro presenza aleggia sul nostro percorso: potrebbero sbucare dietro quell'albero, scendere da quel sentiero laterale ed incontrarci, salutandoci e raccontandoci le loro paure, le loro speranze, le loro battaglie per la libertà,... il loro sacrificio.
Ancora qualche passo ed ecco la roccia grigia, coperta di muschio e di piccole piante, grondante l'acqua della recente pioggia, una doccia naturale per fate ed elfi, i magici abitanti di questi luoghi dove i bambini possono scatenare la loro fantasia e la loro esuberanza, incontrando anche dei twergi un po' schivi e dispettosi. Un tuffo in un tempo interiore che batte col ritmo del cuore, non con quello dell'orologio: un ritmo diverso per ciascuna età della vita e per ciascuno di noi.
Ed eccola lassù, sbucare dalla roccia “È nata in tutti così, fiore dalla roccia, come tacitamente convenuta preparata ed attesa.” (M.G. Cardini) La Resistenza, il fiore dalla roccia, la sassifraga dei graniti, che nasce orgogliosa, a dispetto di quanti la ritengono fragile, impossibile, debole... no... questo bellissimo fiore resiste, anno dopo anno, ed è lì a ricordarci chi ha combattuto contro i nazisti ed i fascisti loro gregari di Salo'. A ricordarci Alfredo Di Dio che scelse Ornavasso come sede del comando della Formazione Valtoce, perché esisteva una linea difensiva fortificata, e con lui tutti i patrioti.

La vegetazione si fa meno fitta e ci lascia guardare uno scorcio di panorama che scorre dai Corni di Nibbio verso i laghi, in lontananza: svetta il campanile di Mergozzo su uno specchio di acqua azzurra e un altro in successione, nascosto da Montorfano, il Lago Maggiore. Abbassando lo sguardo il paese di Ornavasso, con il suo recente sviluppo di capannoni industriali e di serre, nasconde le costruzioni in pietra dell'antico paese, di cui da lontano compaiono alcuni tetti e le chiese. Sotto di noi la campagna coltivata a fieno e mais, ormai scomparse le antiche vigne, dai cui grappoli si poteva trarre un vinello aspro e giovane, eppure pregiato anche per gli antichi Leponti che lo custodivano come merce preziosa nei vasi a trottola, ed ecco ancora sotto di noi la necropoli scoperta da Enrico Bianchetti nel 1891 che ci riporta all'incontro – scontro tra popoli latini e ceppi di origine caucasica. Qui il tempo interiore ci porta molto indietro ad abbracciare un passato lontano più di duemila anni, quando guerrieri dalle lunghe spade, principesse ornate di contorti gioielli, filatrici e tessitrici impegnate in un paziente lavoro ci raccontano le epiche gesta degli antenati, di cui nella vallata riecheggiano alcuni nomi inconsueti: Latumaros, Sapsuta.... e di cui si sono trovate le tombe con i corredi funebri, proprio nello stesso luogo dove si è consumato l'eccidio dei patrioti della Valtoce: Bartolomeo Olivaro, Edoardo Rossi, Remo Rabellotti e Felice Cattaneo e dove si è combattuta una battaglia più recente, la battaglia di Ornavasso 11 – 12 ottobre 1944. Lo sguardo si posa ora verso la Punta di Migiandone, dove sono stati collocati dei cannoni che segnano lo spazio bellico caratterizzato da sentieri, trincee, gallerie di collegamento, osservatori e postazioni d'artiglieria fatti costruire durante la prima guerra mondiale tra il 1916 e il 1918 dal Generale Luigi Cadorna a difesa di potenziali offensive tedesche provenienti da Nord ed utilizzate durante la seconda guerra mondiale, nell'ottobre del '44,  per una potente offensiva proveniente da sud: l'assalto nazifascista sferrato per riappropriarsi del lembo di terra liberato dai partigiani e costituitosi in territorio libero dell'Ossola con una giunta provvisoria di civili al governo.
Lavoro immane questo della costruzione della Linea Cadorna, fatto di braccia di uomini e donne che hanno lavorato la pietra locale e, sasso dopo sasso, costruito fortificazioni che arrivano fino alle Alpi Orobie, dipanandosi in una poderosa architettura. Il tratto che si può percorrere permette di risalire la montagna fino alla Cima delle Tre Croci a 1872 metri, per poi proseguire fino al Monte Massone a 2161 metri; ma noi ci fermiamo molto prima, all'alpe Cuna, su un sentiero agevole attraversando una buia galleria di passaggio lungo la mulattiera. A lato della strada le felci sono sovrane, un cippo ci ricorda altri partigiani caduti: Mario Albertini, Luigi Guarnori e Luigi Gallarini. Sugli spazi erbosi sono sbocciati i narcisi, ai loro tempi i prati ne erano letteralmente coperti, il profumo inebriante era il profumo del paradiso e sono certa che cantando “Bella ciao” ci si immaginava la sepoltura all'ombra dei narcisi in primavera... oggi ne sono rimasti pochi, perché i cinghiali ne sono ghiotti e devastano il manto erboso per mangiare i bulbi. All'Alpe Cuna una terrazza naturale ci permette di allargare lo sguardo sulla Val d'Ossola da uno sperone roccioso su cui in ogni tempo è stato possibile controllare i movimenti a valle.

Così nel tempo inteso come chrònos, misurabile, immutabile, inesorabile, che ci divora, possiamo ritrovare il nostro kairòs, il nostro tempo propizio a riequilibrare la psiche, il giusto ritmo a qualificare il tempo libero, ad incontrare l'aldilà che ci appare nella nostra passeggiata, fuori dalla frenesia quotidiana. Questo non solo ci permette di rigenerarci, ma soprattutto di ritrovare le priorità, gli orizzonti, i valori in assoluta sintonia con gli antenati presenti nel respiro dell'eternità, nella gioiosa immersione nell'ambiente naturale, nella sottile nostalgia dell'infanzia e dell'adolescenza, nell'indefinito del sogno e della fantasia, nella consolazione del ricordo, nella reinterpretazione creativa della memoria. In questo ampio arco temporale c'è l'essenza del nostro modo di essere, c'è il distillato dei valori per i quali i caduti ci hanno donato la loro vita e chi ha vissuto ha contribuito a realizzare questa nostra Repubblica Italiana che oggi noi festeggiamo col cuore leggero di chi ha potuto fruire della libertà e della democrazia, interrogandoci tuttavia sulla nostra vita, personale e sociale, e sulle responsabilità nel custodire quei doni preziosi, attraverso l'esperienza di chrònos e kairòs, nell' incontrare l'aldilà del tempo nel nostro tempo presente, dell'aprire la nostra vita ai valori dell'amicizia, del confronto, della memoria in una comunione di idee sempre presente e attuale, suggellata dall'amore per la natura e per il prossimo. Ed è nella memoria che tutto è presente alla mente e gli eventi sono nunc stans, ora qui.
In questo spirito noi possiamo fare l'appello dei nostri antenati e patrioti, presenti, oggi e sempre, nel nostro cuore e nella costruzione della Repubblica Italiana, libera e democratica.

                                        Margherita Zucchi

fotografie: Fulvio Scesa, Elisa Seitzinger
Nel proseguimento dell'emergenza sanitaria e nel rispetto del recente decreto del D.P.C.M. del 26 aprile scorso e del D.P.G.R. n. 49 e n. 50 del 2 maggio u.s. si comunica che è consentita in ambito regionale l'attività motoria e sportiva tra cui rientrano le passeggiate all'aria aperta con rientro alla sera alla propria abitazione.

Per saperne di più:
Comune Ornavasso: Ornavasso e la Linea Cadorna Itinerario IA33
Antica Cava: visite su prenotazione www.anticacava.it
Archeologia: visita alla sezione archeologica “Enrico Bianchetti” del Museo del Paesaggio presso il Municipio di Ornavasso, www.museodelpaesaggio.it
Aspetto naturalistico: Parco Nazionale della Val Grande, in cui l'area è stata inclusa dal 2016, visite guidate al Parco su prenotazione www.parcovalgrande.it
Prima Guerra Mondiale: Gruppo Alpini e amici Alpini di Ornavasso - Migiandone, visite guidate alla Linea Cadorna www.facebook.com>gruppoalpiniornavasso
Seconda Guerra Mondiale e  Resistenza: Associazione Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”  Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” Via A. Di Dio 131, visite guidate al Museo su prenotazione, www.museopartigiano.it
ISRN La memoria delle Alpi www.isrn.it
Anti Incendi Boschivi A.I.B. Tel. 0323838330
Soccorso Alpino e Speleologico Capo Stazione G.A. Walter Gioira
Polizia Municipale Piazza Municipio,10 tel.0323838330

Bibliografia in corso di redazione presso la Biblioteca Comunale e il Museo Partigiano

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Mario Greppi

Mario Greppi, Mariolino, Eugenio, (Milano 1920 – 1944); figlio di Antonio, anch’egli partigiano e poi il sindaco della rinascita di Milano, e Bianca Mazzoni; la famiglia originaria di Angera.
Dopo la Maturità classica conseguita al Liceo Beccaria nel 1939, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza che gli riconoscerà la laurea Honoris causa. Molti i suoi interessi, sue passioni sono la barca a vela sul lago, il volo a vela e a motore all’aeroporto di Taliedo, che lo porta ad ottenere il brevetto di pilota civile. Richiamato a Orvieto al Corso di allievo ufficiale, dopo il congedo si dedica all’arte del cinema, segue il corso di regia; un suo cortometraggio La fanciulla del bosco girato ad Arolo, vince nel 1942 il Campionato nazionale universitario alla Mostra Nazionale di Udine per il film sperimentale del passo ridotto. A gennaio del ’43 è richiamato a Fano (Pesaro-Urbino). L’8 settembre lo trova sottotenente pilota al corso di specializzazione dei caccia nella Scuola di Aeronautica Militare a Ghedi (Brescia); gli ufficiali subito dileguatisi in aereo, Mario fugge in camion con altri compagni, dopo aver tentato una resistenza ai tedeschi. Si rifugia ad Angera, dove si trovano la famiglia e gli amici antifascisti. Per le formazioni Matteotti entra nella rete degli informatori e della stampa clandestina; sua compagna indivisibile era la bicicletta, scriverà il padre Antonio in Il bravo ragazzo.
Il ragazzo Greppi cresce in un ambiente antifascista e allo stesso tempo profondamente religioso; il padre Antonio, socialista, è arrestato due volte e portato a San Vittore, dove passerà otto mesi in cella di isolamento nel 1938 e alcuni giorni nel 1940; dovrà rifugiarsi in Svizzera, da cui ritorna attraverso la montagna entrando come Commissario di guerra nell’Ottava brigata Matteotti.
Alla fine del giugno 1944, i due giovani Mario Greppi e Giorgio Buridan, inviati dal Comando Alta Italia, giungono, insieme a Eugenio Cefis, in Ossola al comando di Alfredo Di Dio, ambedue come Commissari politici, Mario per i Socialisti, Giorgio per il Partito d’Azione; commissari di brigata, ‘commissari di guerra’, Giorgio al Mottarone, Mariolino in Val d’Ossola.
Sono i due ‘commissari’ a partecipare alle trattative per l’unificazione delle due formazioni Valtoce e Valdossola, recandosi a nome della Valtoce a Colloro, sede di Dionigi Superti, comandante della Valdossola. Giorgio, a cui si devono le maggiori informazioni su quei giorni, narra nel suo diario In cielo c’è sempre una stella per me, dell’ultima sera trascorsa insieme sulla terrazza sotto le stelle a parlare di arte e politica. Il giorno dopo, il 21 agosto 1944, Mariolino scendeva, per raggiungere Milano con documenti importanti per Il Comando generale. Diversi i racconti, con alcune varianti, sugli ultimi fatti che precedettero la morte di Mariolino il 23 agosto. Mario, forse a seguito di una spiata, viene sorpreso con i suoi importanti documenti, arrestato. Riesce a sottrarsi a uno stratagemma in cui i fascisti dell’Ovra vogliono far cadere anche i destinatari dei documenti, mentre cerca di raggiungere la sua abitazione, viene colpito da un agente. Muore dopo due giorni in ospedale.
Antonio Greppi apprende la morte del figlio mentre è in Svizzera.

A Milano, in via San Michele Del Carso, al numero 5, una targa, scoperta a un anno dalla sua morte, ricorda Mario Greppi, con un bassorilievo dello scultore Affer, il volto di Mario in una cara espressione di precoce responsabilità, parole del padre Antonio Greppi, da Risorgeva Milano (1945-1951) (Ceschina, Milano 1953). Di quel giovane dalla straordinaria personalità, i cui ideali si riassumono nella scelta partigiana, poco sembrerebbe essere stato scritto, e troppo poco per conoscerlo è quella targa, mentre spiragli di interesse aprono i ragazzini della Scuola elementare Antonio Greppi di S. Donato Milanese scrivendo nel loro sito internet: Nessun libro gli dedica nemmeno una parolina, ma da quando lo conosciamo, ogni bambino della Scuola fiero a lui s’inchina. Viva Mario Greppi, Viva i Partigiani! È grazie ai loro morti che siamo ancora italiani. La pubblicazione nel 2014 del diario partigiano In cielo c’è sempre una stella per me… di Giorgio Buridan, si traccia il ritratto di Mariolino, si descrivono momenti di esaltante comunicazione tra i due ragazzi, con i loro discorsi sulla cultura, l’arte, la politica, e l’impegno dei giovani nel presente e nel futuro. In quelle pagine si svela un particolare affetto e grande ammirazione per quel compagno di giorni eroici, a cui l’autore divenuto scrittore dedicherà altri scritti, a partire dalla memoria che ne fa sul giornale Valtoce (nel maggio, e nel giugno 1945), durante i giorni della liberazione di Milano. Ed è proprio durante le ricerche per le annotazioni alla pubblicazione del diario di Buridan, che avviene la scoperta di libri scritti dal padre Antonio, in cui scopriamo chi era Mario Greppi, libri mai ripubblicati, reperiti in librerie antiquarie, Il bravo ragazzo pubblicato nel 1951 è tutto lui, Mariolino.
Scrive Giorgio, nella sua memoria per il Valtoce: Era un bel ragazzo di 24 anni, alto, molto distinto. Aveva un bello sguardo acceso e vivo e si esprimeva con eleganza di modi e con un leggero accento lombardo…. Fu lui a propormi di stringere amicizia. Risposi che ci tenevo molto a discutere con più calma le sue idee politiche…segue il racconto con la descrizione di Alfredo Di Dio che si diverte a ad assistere alle animate discussioni tra i due ragazzi, che paragona a due galletti.
I due ragazzi passano una memorabile sera sotto le stelle a Colloro. L’indomani Mariolino sarebbe partito per Milano, con documenti importanti.
L’appuntamento era con il comandante delle Matteotti Corrado Bonfantini. Il racconto dettagliato di quei momenti si trova nel libro di Antonio Greppi, Il bravo ragazzo (pp.167-169): al momento di ricevere un pacco di giornali clandestini, agenti in borghese della squadra politica dell’Ovra, Mariolino veniva arrestato, portato all’Ufficio di Polizia; intanto dal bar di fronte, dove era previsto l’incontro, Corrado Bonfantini, capita la situazione, riesce ad allontanarsi.
poiché i documenti che aveva indosso dimostravano com’egli fosse collegato coi capi del movimento cospirativo, si era tentato uno stratagemma. Agenti erano andati a casa e, raccogliendo una telefonata, s’erano illusi di imitare la sua voce, fissando con l’interlocutore un incontro al bar Motta, in Piazzale Baracca. E così era stato accompagnato là all’ora stabilita, senza che apparisse sorvegliato. Ma egli che aveva intuito il giuoco troppo ingenuo, approfittando appunto del distacco dei suoi custodi, aveva tentato la fuga e si era aggrappato a una vettura della circonvallazione nell’attimo dell’avvio. Il conduttore, informato da lui stesso della verità, aveva accelerato al massimo la corsa, ma subito la vettura era stata inseguita dagli agenti e dai militi che si erano appostati numerosissimi nei dintorni. Coraggiosissimo, il tranviere, si proponeva di insistere malgrado la sparatoria che ormai si propagava, ma egli, temendo per lui e per i passeggeri, si era gettato dalla piattaforma con un balzo temerario proprio davanti alla nostra casa (Via S. Michele del Carso). Un giovane brigatista, che si trovava a pochi passi, gli aveva sparato a bruciapelo, colpendolo in pieno petto. Era caduto come morto, ma trasportato subito all’ospedale si era riavuto. La pallottola gli aveva perforato un polmone e le sue condizioni non apparivano disperate. Ma egli, ben conoscendo l’importanza dei documenti caduti nelle mani della polizia politica, non si faceva illusioni per la propria sorte. E al medico, che primo si era occupato della sua ferita, aveva detto ch’era meglio lasciarlo al suo destino. Con una serenità miracolosa. Ma lo stesso sanitario e le infermiere di quel padiglione l’avevano incoraggiato a sperare, facendogli premurosamente intravvedere la possibilità di una fuga. …. Fu lieto della notizia che il giorno dopo lo avrebbe visitato la mamma. Ma Bianca arrivò che egli era appena spirato. Qualcuno che era nella squallida sala mortuaria vide la mamma inginocchiarsi silenziosamente davanti al suo corpo esamine e pregare senza lacrime. – Sembrava, - mi confidò più tardi, - di assistere alla ‘Deposizione’ -. Così se n’era andato, con la stessa semplicità con la quale aveva vissuto, il bravo ragazzo. … L’indomani del suo arresto le formazioni del Cusio e dell’Ossola, in una gara epica, avevano catturato con operazioni audacissime ufficiali e soldato tedeschi. E un nobile prete della montagna era corso a Milano per offrire il cambio. Ma era troppo tardi.
In Dieci vite in una sola (L’Ornitorinco, Milano 2012) Bianca Dal Molin, nipote di Mario, a pagina 85 riporta la lettera che il 6 settembre 1944 Bianca Greppi scrive al marito in Svizzera per informarlo della morte del figlio, una straordinaria lettera, che un giorno le mamme italiane dovranno conoscere, così ha scritto Antonio Greppi in Il bravo ragazzo, cit., p.167

Per saperne di più:

-    Antonio Greppi, Lunga lettera a Bianca, Ceschina, Milano 1967
-    Antonio Greppi, Il bravo ragazzo, Ceschina, Milano 1951
-    Antonio Greppi, Risorgeva Milano (1945-1951), Ceschina, Milano 1953
-    Antonio Greppi, Gli anni del silenzio e del coraggio: Pagine della Resistenza per i giovani. Ceschina, Milano 1965, pp. 232-233
-    Enrico Massara, Il Matteottino, Milano 23 agosto 1944: Greppi Mario, in Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese: Uomini ed episodi della lotta di liberazione, Ist.St. Resistenza, Novara 1984, pp. 324-326; [Massara ha raccolto notizie dalla lettera invitagli dalla sorella Enrica Greppi Bobba]
-    Corrado Bonfantini [testimonianza raccolta da Enrico Massara in un articolo per] Il Giorno, del 25 aprile 1979
-    Corrado Bonfantini, Le Matteotti, in Marcurio, n. 16 Anche l’Italia ha vinto, Mercurio, dicembre 1945, p. 76
-    Giorgio Buridan, In cielo c’è sempre una stella per me: Diario di guerra partigiana / a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, Tararà, Verbania 2014
-    Giorgio Buridan, Mario Greppi, in Valtoce: volantino della 1° Divisione del Raggruppamento Divisioni Patrioti Cisalpine Alfredo Di Dio, Milano 4 e 5 Maggio 1945, riproposto in unico numero 11, 1 giugno 1945
-    Edgarda Ferri, L’alba che aspettavamo: Vita quotidiana a Milano nei giorni di piazzale Loreto 23-30 aprile 1945. Mondadori, Milano 2005; pp. 117-118
-    Bianca Dal Molin, Dieci vite in una sola, L’Ornitorinco, Milano 2012
-    Alessandra Dal Molin de Bernardi, Felice come un fringuello, inedito, Ghiffa 2014
-    Alessandra Dal Molin de Bernardi, Troppo dentro il mio cuore: Le poesie-diario di Bianca [Bianca Mazzoni, mamma di Mario Greppi], dal 1944-1945, inedito, maggio 2020.

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Giorgio Buridan
Giorgio Buridan (Stresa 14 settembre 1921 – Caraglio 29 luglio 2001)

Un ragazzo come tanti, come altri, sfollati in quei mesi prima dell’8 settembre in paesi più tranquilli, per sfuggire ai bombardamenti. A Stresa si incontrarono quei giovani, alcuni da Milano, Giorgio da Torino, che si ritrovava così nella casa natale, nella grande villa Cappa-Legora, poco sotto il Collegio Rosmini. Quei ragazzi, di famiglie borghesi, di educazione liberale e socialista, in un crescendo di antifascismo, che trovava nel Partito d’Azione i suoi ideali e l’espressione, già si erano ritrovati a Stresa negli anni prima, e nel 1941 avevano messo in scena uno spettacolo per raccogliere offerte a beneficio dei soldati reduci ricoverati al Grand Hotel des Iles Borromees, adibito ad ospedale. Dopo l’8 settembre ci fu la scelta, e quella di Giorgio Buridan ha un valore particolare. Il ragazzo era esonerato dal servizio militare per un problema fisico ad una mano, ma non fu una occasione per sfuggire al dovere di contribuire alla lotta di opposizione all’occupante tedesco e ai suoi alleati e servi, i fascisti. Di vasta e profonda cultura il ragazzo Giorgio era cresciuto su radici di una cultura europea, avendo la famiglia tradizioni antiche francesi. Staffetta portando la stampa clandestina, passò poi alla lotta armata in Ossola, dove vi giunse con Mariolino Greppi, altro giovane di alta cultura. I loro discorsi, l’ultimo dei quali in una notte sotto le stelle, vertevano sull’arte, la politica, le ragioni di una lotta di giovani, chiedendosi quale futuro dovesse già essere immaginato, programmato. Mariolino moriva in quell’agosto ’44 e Giorgio portò sempre con sé il ricordo di quell’amico, come quello del comandante Alfredo Di Dio, a cui dedicò il suo diario partigiano. Giorgio Buridan fu scrittore per tutta la vita, e nei tantissimi suoi scritti, poesie, dialoghi, racconti, saggi, scritti autobiografici, si mostra chiaro ed evidente quanto sia stata importante l’esperienza partigiana, gli stessi personaggi e le loro storie ripropongono l’eterno confronto tra il potere, qualunque sia la sua veste di volta in volta, e l’individuo, con le sue libertà e dignità personali.
Nelle sue disposizioni testamentarie aveva chiesto che accanto al suo nome, NH Giorgio Buridan, fosse scritto: “Commediografo – Scrittore – Commissario di Raggruppamento Divisioni Partigiane Cisalpine”. In queste parole, in breve, tutta la sua biografia e l’importanza che egli riconosceva a quelle sue scelte di vita, volendone tramandare testimonianza.
Queste le sue parole nel presentare un suo racconto della Resistenza in Val d’Ossola, dedicato a un bambino “… ho intuìto la necessità che alcuni valori etici vengano tramandati oralmente attraverso le generazioni. In questo senso, mi sono sforzato di parlare di quanto è stato, nel modo più chiaro e onesto, perché – dopo tutto – è bene, per una maturazione di un senso democratico e anche progressista, che certi valori – non miei, certo, ma intrinseci a questa che è stata stagione di valore e di eroismo – non vadano dispersi… Eh, sì, tocca proprio a noi, i superstiti, i rimasti, di tentare di spiegare i motivi “reali” che da giovani ci hanno animati. (Torino, 15 Novembre 1987).
Per saperne di più:

-    Giorgio Buridan,  In cielo c’è sempre una stella per me:  Diario di guerra partigiana a cura del Commissario del Raggruppamento Divisioni Partigiane Cisalpine [dedicato ad Alfredo Di Dio], Tararà, Verbania  2014.
-    Suoi scritti si trovano nel Volantino Valtoce del 1944 e del 1945; in particolare, quelli in memoria di Alfredo e Antonio Di Dio, nel Valtoce, [1] e 3, 1945, poi amplificato in “Martiri della libertà: Alfredo e Antonio Di Dio” in Ossola insorta: a ricordo di giorni della liberazione, 9 settembre – 23 ottobre 1944, numero unico del 23 settembre 1945, redatto da Piero Malvestiti; di G. Buridan è “Alfredo Di Dio il partigiano che liberò Domodossola”, in Valtoce, supplemento al numero 15 di Sabato, nel ventennale della liberazione dell’Ossola, ripubblicato nel 2014 dal Comune di Ornavasso. Dedicato a Mario Greppi, un articolo, in Valtoce, n.4e5, e riproposto nel n 11, del 1945.
-    Giorgio Buridan, in Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano, Sezione Cinema, maggio 1961: Quando l’Italia si chiamava speranza: Risorgimento e Resistenza nel cinema italiano.
-    Giorgio Buridan, Fatti e persone nella mia vita, Caraglio 1998; inedito: dieci capitoli dedicati alla sua Resistenza: Ferruccio Parri o la dignità  degli  italiani; Notte e nebbia; Via Marcia su Roma numero sei;  Clemente Rebora e la grazia della poesia; I camionisti della Rumianca; Estate con i Georgiani; Il compagno Umberto Terracini; Il mio Natale del ’44; Edgardo Sogno, la mitica Primula Bianca; Una Rolls Royce dal deserto.
-    Giorgio Buridan, Clemente Rebora e la grazia della poesia, è pubblicato nei n. 11 e 12, 2008 del Bollettino Rosminiano “Charitas”, cura di Gianni Picenardi “Un avvenimento inedito della vita di don Clemente Rebora”. in Microprovincia, n. 47, 2009; di questo incontro scrive Carmelo Giovannini in “Clemente Rebora: la Parola zittì chiacchiere mie”, Stresa, ed.ni Rosminiane, 2013.
-    Inediti di argomento partigiano, di Giorgio Buridan, sono scritti tra il 1946 e il 1947, i romanzi: “Quando sarà domani”, “L’Epoca della Rassegnazione” e l’atto unico “In una notte” ( Gli inediti si trovano nell’Archivio privato Giorgio Buridan, presso Maria Silvia Caffari, frazione Vallera, Caraglio)
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Dionigi Superti
DIONIGI SUPERTI
 Superti è stato descritto e di lui si è scritto di tutto: affarista, agente segreto degli inglesi, amante della bella vita e delle belle donne, massone, condannato per falso in assegno ed altro ancora. Ma è stato considerato anche un comandante attento, leale molto amato, tra i primi in Italia a costituire resistenza armata contro il nazifascismo. Ebbe stima incondizionata dai 'suoi' uomini; i nazifascisti in un’azione di rastrellamento gli imprigionarono anche la moglie. Molte affermazioni negative sul suo conto erano più legate a ragioni di parte che a realtà. Esiste inoltre a tal proposito varia e vasta documentazione d’archivio, che andrebbe visionata e approfonditamente studiata. Nella prima guerra mondiale fu volontario del 5° Reggimento Alpini e in seguito nell'Aviazione. Sicuramente fu antifascista convinto, nel 1919 fu iscritto al Partito Repubblicano, nel 1925 ardito del popolo a Milano, tanto da finire per due volte al confino a Eboli; in questi anni conobbe Ettore Tibaldi e altri antifascisti *. Nel 1943 si trovava in Val d'Ossola: agevolato dal suo lavoro, come dirigente dell’impresa IBAI (Industria Boschiva Alta Italia), costituì subito dopo l’8 settembre il primo nucleo partigiano che sarebbe diventato la formazione Valdossola, il cui motto 'Mai Vinti' ben esprime lo spirito del suo comandante e quello della futura divisione. Fin dal 9 settembre fu indirizzato dall'amico repubblicano Razzini da Ettore Tibaldi con il quale vi fu sempre un legame di stima, rispetto e collaborazione, mentre la formazione si andava via via ingrandendo. Un pesantissimo rastrellamento in Valgrande nel Giugno del 1944 la colpì duramente e molti uomini della Valdossola furono tra i 42 giustiziati a Fondotoce. La formazione partigiana di Superti fu autonoma da ogni influenza di partito e il Comandante lasciò sempre ai suoi uomini ampia libertà di discussione e scelta politica, addirittura di propaganda, come riconobbe tra gli altri Albe Stainer, convinto comunista; egli si oppose alla creazione del commissario politico scelto dall’esterno proprio per salvare l’autonomia della formazione stessa. Superti collaborò con altri comandanti partigiani per coordinare le attività militari che nell’estate del '
44 portarono alla liberazione di gran parte dell’Ossola: Di Dio, Arca, Rutto, arrivando addirittura a progettare nell’agosto la creazione di un comando unico. Si scontrò ferocemente con Mario Muneghina suo vicecomandante che voleva portare la formazione Valdossola tra le brigate Garibaldine e quindi alle dipendenze del PCI attraverso la nomina di un comissario politico di partito. Lo scontro raggiunse livelli elevati e molto pericolosi anche per l’incolumità fisica del Comandante della Valdossola. Il profondo dissidio portò alla scissione della formazione di Superti operata da Muneghina e da altri elementi presenti nella formazione legati al PCI, dando vita alla brigata garibaldina Valgrande Martire. Lo scontro raggiunse il suo apice poco prima della presa di Domodossola e si accrebbe con la nascita della Repubblica. Il CLN inviò una commissione d’inchiesta che assolse Superti da ogni accusa e costrinse Muneghina alle scuse e all’obbligo di trasferire la Valgrande Martire, in un’altra zona diversa dall’Ossola. Obbligo mai adempiuto anche per la magnanimità di Superti. Nella difesa della zona libera nell’ottobre ‘44 soprattutto Valdossola e Valtoce ressero l’urto dei nazifascisti e si assunsero il compito di coprire l’esodo in Svizzera della popolazione.
Le vecchie ruggini con i comunisti impedirono alla Valdossola il rientro in Italia dall’internamento in Svizzera, fino alla Liberazione.
Nel dopoguerra, dopo un breve avvicinamento al partito socialista, Superti ritornò alla attività lavorativa, morendo totalmente povero e dimenticato a Madrid.
Sarebbe auspicabile quindi, una rivalutazione su base documentaria di un uomo, che sicuramente fu personalità complessa, con una storia avventurosa e intricata dalla quale non ricavò mai personali vantaggi.
Oggi giustamente riposa nel cimitero di Premosello, in Val d'Ossola. 
* Archivio Cantonale di Bellinzona, Archivio delle truppe Ticinesi, Fondo Giorgio Casella, scatola unica.
Le volontarie e i volontari del Museo della Resistenza
Per saperne di più:
Mario Bonfantini: 'Il sorridente Superti della Valdossola, coi suoi ineccepibili ufficiali', in Mercurio, n. 16 dic.1945
Dionigi Superti, 'La Divisione Partigiana Valdossola' in 'Novara – bimestrale dellaC.C.I.A.A.', n.4, 1977
Francesco Omodeo Zorini, 'Gli uomini della Repubblica dell'Ossola' in 'Resistenza Unita', agosto – settembre 1979
Enrico Massara, 'Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese', Istituto Storico della Resistenza 'Piero Fornara', Grafica Novarese, Novara 1984
Nino Chiovini, 'Ricordo di Dionigi Superti' in 'Resistenza Unita', ottobre 1988
Erminio Ferrari, 'In Valgranda: memoria di una valle', Tararà, Verbania 1996
Nino Chiovini, 'Valgrande partigiana e dintorni', Comune di Verbania Comitato della Resistenza, Gravellona Toce 200
'Ricordi della Resistenza', guida del Museo della Resistenza 'Alfredo Di Dio' di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti 'Alfredo Di Dio', ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004
Nino Chiovini, 'I giorni della semina', Tararà, Verbania 2005
Teresio Valsesia, ' Dalla Val Grande alla ‘Repubblica dell’Ossola’: Storia di un ragazzo partigiano', Alberti, Verbania 2009
Marzio Zanantoni, 'Albe Steiner. Cambiare il libro per cambiare il mondo. Dalla Repubblica dell'Ossola alle Edizioni Feltrinelli', Ed. Unicopli, Gorgonzola 2013
Giorgio Buridan, 'In cielo c'è sempre una stella per me', a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, ed. Tararà, Vb 2014
Leonardo Malatesta, 'Il Comandante Dionigi Superti. La Divisione Partigiana Valdossola e la Guerra di Liberazione tra l'Ossola e il Ticino', Ed. Macchione, 2018
AA.VV. 'Leggere la Resistenza' a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Margherita Zucchi, Museo della Resistenza 'Alfredo Di Dio' di Ornavasso e Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio', Omegna 2020
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LICINIO ODDICINI

SULLE TRACCE DI  LICINIO ODDICINI  “LIVIO”
“Livio” fu nominato capo redattore del giornale Liberazione, organo di stampa della Giunta Provvisoria di Governo dell'Ossola liberata nel settembre del 1944, quando egli arrivò a Domodossola con un altro giornale, Il Crivello, fresco di stampa, scritto in piena
libertà di espressione mentre il nazifascismo era dominante in tutta Europa. Fu così che Mario Bonfantini, colpito dall'ardire e dalla penna felice di “Livio”, gli affidò l'incarico.
Leggendo Liberazione, oltre a conoscere il buon governo dei quaranta giorni di libertà delle valli dell'Ossola, si può conoscere anche Oddicini e il suo pensiero.
Tuttavia un “primo incontro” più ravvicinato con questo personaggio lo ebbi quando incontrai Maria Giulia Cardini, sua amica d'infanzia, compagna alle elementari e agente di collegamento durante la Resistenza nel Cusio. Giulia mi raccontava che a quei tempi era tutti i giorni in Municipio a Domodossola ad occuparsi di assistenza con Don Luigi Zoppetti, qui incontrava anche “Livio”, il ragazzo sempre entusiasta e dinamico. Me ne parlava con nostalgia, come di una persona speciale, suo compagno fin dalle elementari; ricordava di aver fatto tante gite in montagna con il gruppo di Omegna, dove lui non mancava mai, fino alla sua partenza per il militare. Nella vita i gruppi si sciolgono, ognuno sceglie la propria strada, anche Giulia era partita per Torino dove si era iscritta al Politecnico. Ma ecco arrivare l'8 settembre, la data della verità: ciascuno chiamato ad una scelta di fondo. È qui che si rivelarono le vocazioni profonde, le spinte dell'anima verso la libertà o verso la sottomissione, e i due amici scelsero entrambi la libertà. Tutta da conquistare.
Maria Giulia mi fece dono di un libro dal titolo Licinio Oddicini 'Livio', vita e scritti di un partigiano giornalista, a cura di Paola Giacoletti, su cui seguire le tracce del nostro personaggio.
Ho avuto un “secondo incontro” ravvicinato con lui, durante il lavoro di notazione del diario di Giorgio Buridan, In cielo c'è sempre una stella per me (Tararà, Verbania 2014), dove leggiamo che i due giornalisti, “Giorgio” di 'Valtoce' e “Livio” di 'Liberazione', si incontrano a Domodossola, discutono animatamente, anche scontrandosi, ma diventando poi amici fino all'esodo in Svizzera.
Un “terzo incontro” con il giovane “Livio”, lo ebbi parlando con Gianni Ripamonti, all'epoca un bambino di dieci anni, che mi raccontava il suo orgoglio nel potergli fare da guida sulle montagne di Ornavasso, al Cortevecchio, dove Licinio si era rifugiato clandestino, per poter organizzare e preparare i primi gruppi di giovani sbandati, fuggitivi o renitenti alla leva. Sempre parole di elogio. Ho riletto il libro ed ho trovato ancora più interessante questo personaggio, di cui vorrei provare a seguire le tracce.
Giovane sportivo e appassionato di montagna, fu iscritto al C.A.I., Club Alpino Italiano - all'epoca Centro Alpinistico Italiano - sezione di Omegna dal 1940, e alcune fotografie ci rivelano la sua passione per la montagna. Si arruolò volontario e fu assegnato al 1° Reggimento Alpini di Mondovì dove fece l'addestramento come recluta per essere poi mandato ad Aosta, alla Scuola Centrale Militare di Alpinismo, I° Battaglione Alpini Universitari, I° Compagnia. Ad Aosta poté soddisfare il desiderio di praticare la montagna: “Ieri sono stato a sciare al Passo Sapin con il mio tenente e tre compagni... figuratevi che ho avuto sott'occhio tutta la giornata la catena del Bianco dall'Aiguille Noire alle Grandes Jorasses. Credo che non dimenticherò tanto presto le sensazioni che quella vista mi ha procurato...” (dall'epistolario 15.04.'41).
In seguito frequentò la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento a Bassano del Grappa, diventando sottotenente negli Alpini. Iscritto al corso di Chimica dell'Università di Torino, ebbe notizia dell'armistizio mentre si trovava a Riva del Garda dove, appena uscito da un ricovero ospedaliero, stava seguendo un corso militare. Quando si accorse dell'incertezza degli ufficiali rispetto alla occupazione nazifascista, fuggì, e il 13 settembre rientrò ad Omegna in famiglia, ma subito si rifugiò in montagna. Dopo la sosta all'alpe Quaggione, si recò al Cortevecchio sopra Ornavasso dove rimase fino a dicembre, trasferendosi poi a Campello Monti in Val Strona presso il Capitano Filippo Maria Beltrami. A gennaio, coinvolto in un fatto di sangue avvenuto ad Omegna, venne incarcerato fino al 24 febbraio 1944: “... un giorno dopo l'altro interrogatori...il sudore freddo nella schiena: come si sta bene in prigione da soli con la porta chiusa dopo le inquisizioni...” (testimonianza di Alessandro Chiodi , Tenente “Mariani” in Agorà anno II n.3, marzo 1946). Uscito dal carcere per intercessione del Vescovo di Novara - Monsignor Ossola - presso il prefetto, egli si trasferì dall'Università di Torino dove era iscritto alla Facoltà di Chimica, all'Università di Pavia alla Facoltà di Scienze, per raggiungere poi Pieve Vergonte tra marzo e aprile 1944, assunto dalla Rumianca, industria chimica. Di questo periodo troviamo, in una testimonianza di Gino Zanni, l'attività svolta dal partigiano Oddicini Licinio nella Divisione Valtoce dal Marzo al Settembre 1944: fu “... organizzatore di un servizio informativo di stampa e propaganda negli stabilimenti di Rumianca; a tal scopo egli prese accordo con il Comandante della Divisione Alfredo Di Dio e con me, suo aiutante maggiore, nel marzo 1944...”. Assunto come chimico dalla Rumianca di Pieve Vergonte, ottenne così l'esonero militare e qui rimase con i partigiani della Valtoce fino all'estate.
Nel periodo di Omegna Zona Neutra assunse il ruolo di agente di collegamento e si impegnò come redattore e tipografo nella stesura del giornale che aveva progettato durante l'inverno con il Capitano Beltrami e con i fratelli Di Dio: nacque così quel numero unico de' Il Crivello, che portò a Domodossola liberata.
Ad ottobre, durante la ritirata, in Val Formazza organizzò una pattuglia di sciatori che doveva controllare i movimenti  del nemico; fu costretto a varcare il confine “il 22 pomeriggio, facendosi strada attraverso le alte nevi del Passo San Giacomo, l’ultima nostra pattuglia (l’unica pattuglia sciatori comandata da Livio di Omegna, dal nostro Licinio Oddicini…) attraversava il confine svizzero…” (da Mario Bonfantini, Breve storia dell’Ossola, in Mercurio n. 16,  p. 207)
Dopo l’internamento a Mürren e Huttwill, rientrò in Italia; a Milano trovò Corrado Bonfantini ed entrò nelle brigate Matteotti, organizzò il Fronte della Gioventù, ma venne arrestato e mandato a San Vittore. In carcere organizzò la Brigata San Vittore, il 23 aprile del ’45 venne liberato in uno scambio di prigionieri.
Giorno della LIBERAZIONE: 25 APRILE, MILANO, si spara, ancora.
È sera. “Livio”, felice della riconquistata libertà, vuole organizzare un colpo di mano per liberare i prigionieri politici dal carcere di San Vittore, vuol fare uscire i suoi compagni di prigionia, sùbito. I neri sparano e poi si dileguano. Nel parapiglia “Livio” non si trova più.
Trovato, il mattino seguente, all'obitorio... la salma: un solo foro in fronte.
Ultima vittima a sigillo dell'estremo sacrificio “LA VITA PER L'ITALIA”.
Ciò sia detto perché, oltre all'attesa, sperata, sofferta, invocata liberazione dal covid19 coronavirus, a cui tutti dobbiamo collaborare, c'è stata una liberazione che non possiamo dimenticare.

I suoi diari, scritti e poesie sono stati raccolti nel libro: Licinio Oddicini “Livio”: vita e scritti di un partigiano giornalista, a cura di Paola Giacoletti, Verbania 2008.

Note biografiche da: Museo Raggrupp. “Alfredo Di Dio” di Ornavasso – FIVL – ISRN, “Leggere la Resistenza – dalle formazioni autonome alla cittadinanza consapevole ”, a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Zucchi Margherita, p4biz, Omegna 2020.

MARGHERITA  ZUCCHI - MUSEO DELLA RESISTENZA  “ALFREDO  DI  DIO”  ORNAVASSO  

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Leggere la resistenza
75° ANNIVERSARIO della LIBERAZIONE

Per festeggiare il 25 aprile il Museo della Resistenza di Ornavasso, il Raggruppamento Divisioni Patrioti "Alfredo Di Dio" e la Federazione Italiana Volontari della Libertà insieme con l'Istituto Storico della Resistenza "Piero Fornara" propongono i primi profili della pubblicazione on line "Valtoce 75°" dedicata ai partigiani della Valtoce e del Raggruppamento Divisioni Patrioti "Alfrdo Di Dio". La pubblicazione dei profili continuerà per tutto il mese di maggio e si può vedere su www.museopartigiano.it e su www.isrn.it #lanostraresistenza.
Inoltre sarà presto disponibile l'antologia "Leggere la Resistenza- dalle formazioni autonome alla cittadinanza consapevole" a cura di Maria Silvia Caffari , Grazia Vona e Margherita Zucchi con la collaborazione di Giannino Piana.
La pubblicazione narra un aspetto poco conosciuto della Resistenza, che offre la visione della Resistenza apolitica, combattuta per dovere militare e per amor di patria, che tiene in massima considerazione il ruolo dell'esercito, la rete silenziosa dell'Azione Cattolica e di molti Oratori, la rete segreta dei sevizi di intelligence, degli Scout "Aquile Randagie", e di tutte quelle componenti civili che, non solo hanno simpatizzato con la Resistenza, ma usando una espressione di Contini "si sono ...compromesse" ed hanno combattuto in prima linea per la libertà.

I volume

I quattro percorsi di lettura, in sequenza secondo la visita al Museo della Resistenza di Ornavasso in Val d'Ossola, volgono l'attenzione alle formazioni partigiane autonome i cui comandanti militari avevano come obiettivo primario la liberazione dell'Italia, senza ingerenze di interessi partitici. L'esperienza della Formazione Valtoce, del Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio e il più ampio teatro di Resistenza nell'Alto Novarese e Milanese rivestono una notevole importanza nella storia della Resistenza italiana, seguendo un paradigma di sviluppo ripetuto sul territorio nazionale: nascita della Resistenza autonoma sua organizzazione iniziale nel reperire cibo, vestiario, armi; addestramento di carattere militare e azioni di sabotaggio; battaglia e liberazione di un territorio vasto - l'Ossola - ove è stata sperimentata la democrazia con una giunta provvisoria di governo civile - fatto unico e diverso da altre esperienze simili - difesa militare e inevitabile sconfitta, in mancanza di promessi aiuti alleati; riorganizzazione militare allargata al perimetro del comando unico del generale Raffaele Cadorna a tutte le formazioni, con uno stretto rapporto del Raggruppamento con gli alleati, fino alla Liberazione nazionale, anticipata con un perfetto tempismo e in autonomia decisionale, ma coerente con le direttive generali, che tenevano conto del teatro di guerra nazionale ed europeo. L'azione silenziosa di aiuto solidale ai fuggitivi e ai clandestini, evitando uccisioni che avrebbero suscitato pesanti rappresaglie sulla popolazione, fu motivo di sarcasmo con il nomignolo di Opera Pia: carattere da rivalutare nella pienezza del suo significato. Le battaglie ci furono, ma furono battaglie militari, combattute per senso del dovere e per la strenua difesa dell'Ossola. L'antologia offre la possibilità di seguire gli eventi attraverso una selezione di pagine di diario, testimonianze, narrazioni letterarie, cronache giornalistiche e poesie. Il territorio considerato in questo primo volume va dai monti dell'Ossola fino al lago d'Orta e al lago Maggiore, dal Mottarone fino a Milano/Novara, seguendo l'itinerario della vittoria finale con la Liberazione di Milano, prima dell'arrivo degli Alleati.

II volume
La lettura è orientata alla presenza nella storia della Resistenza delle formazioni autonome in numero rilevante, seppur poco conosciuto. Il fenomeno resistenziale, benché unito dagli ideali di libertà e di democrazia che portarono alla nascita della Costituzione e della Repubblica Italiana, segna al proprio interno differenze che sono una ricchezza di valori da esaminare storicamente. Le formazioni autonome, diffuse su tutto il territorio dell’Italia Occupata, nacquero subito dopo l’8 settembre in genere da militari, per lo più giovani ufficiali, che decisero di opporsi all’occupazione nazifascista e formarono in montagna le prime bande armate. 
La motivazione della scelta che animò la lotta per l’ antifascismo e la liberazione nazionale, avveniva spesso a prescindere dall’ identificazione e da una diretta dipendenza partitica. L’apartitismo, comune a tutte le formazioni autonome, aveva un quadro di riconoscimento e di fedeltà al C.L.N. che comprendeva tutti i partiti: esistevano quindi formazioni che si ispiravano agli ideali cattolici come le “Fiamme Verdi,” le “Osoppo”, la “Valtoce”, altre agli ideali di giustizia sociale e di istituzioni repubblicane come le “Giustizia e Libertà”, la “Valdossola”e le “Matteotti”, altre ancora agli ideali monarchici, come le “Formazioni Mauri”, o agli ideali liberali come le “Franchi.” “La Maiella “ fu l’unica, data la sua ubicazione, a rimanere apolitica, ma inserita nell’esercito alleato come unità combattente. Anche la Marina e la Guardia di Finanza offrirono un importante sostegno alla lotta di liberazione e molti marinai e finanzieri entrarono direttamente nelle formazioni combattenti.
Il percorso di lettura interpreta quindi l’apporto di varie componenti della società civile : i militari, gli studenti, gli operai, le donne, la popolazione civile del luogo, i religiosi, nei loro diversi modi di contribuire ad una nuova coscienza individuale e collettiva. Inoltre le radio clandestine, la stampa libera, la rete degli oratori si rivelarono formidabili mezzi di incubazione e diffusione di idee nuove. Infine si sottolinea il valore dell’europeismo e del suo orizzonte ampio di libertà e democrazia per la pacificazione dei popoli europei, mentre ancora stavano attraversando la tragedia bellica.
La lettura approda ai valori della Costituzione, direttamente scaturiti dall’esperienza resistenziale e dall’antifascismo, come radice etica e istituzionale dell'attuale educazione alla cittadinanza.
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Elsa Oliva
Oliva Elsa, “Violetta”, “Helinki” (Piedimulera 1921 – Domodossola 1994). Ragazzina irrequieta, di famiglia antifascista, andò ancora bambina “a servizio”. A 14 anni andò in Valsesia, fuggì di casa con il fratello Renato, i due fratelli vivevano dipingendo e vendendo quadri. Tra i pittori amici Elsa conobbe il padre del suo primo bambino, Omero Solaro, poi partigiano e morto a Mauthausen. Malata di un principio di tubercolosi andò sul lago di Garda, poi a Ortisei e, già sotto osservazione della polizia per le sue idee antifasciste, si trasferì a Bolzano dove fu impiegata presso il Comune. Dopo l’8 settembre, partecipò alle prime azioni di Resistenza, aiutò i militari a fuggire dai tedeschi, distruggendo l’archivio dell’Anagrafe. Arrestata dopo azioni di sabotaggio, riuscì a fuggire mentre la portavano a Innsbruck per essere processata. Raggiunse la famiglia a Domodossola. Nel maggio 1944 entrò come infermiera nella 2° Brigata Divisione Beltrami, nella squadra di Meloni, diventò partigiana combattente. Cambiò formazione per stare vicino al fratello Aldo, “Ridolini” e nell'ottobre Elsa si unì alla Brigata "Franco Abrami" della Divisione Valtoce, sul Mottarone, dove divenne comandante della Volante di Polizia Helsinki, dal nome di battaglia di Elsa. L’8 dicembre ‘44 Elsa fu catturata dai fascisti e portata in caserma a Omegna. Condannata a morte, finse il suicidio ingerendo sonniferi, portata all’ospedale, con l’aiuto di don Giuseppe Annichini e di suor Augusta, riuscì a fuggire. Il fratello fu ucciso dai nazifascisti . Ritornò alla lotta armata, e dopo la Liberazione ricevette il grado di Tenente. Continuò l’impegno politico, eletta consigliere comunale a Domodossola, indipendente in una lista PCI, da cui si staccò delusa. Lasciò anche l'ANPI e divenne vicepresidente dell’Associazione Volontari della Libertà, della FIVL. Ha pubblicato Ragazza partigiana, La Nuova Italia, Firenze 1974; una raccolta di racconti dal titolo La Repubblica partigiana dell'Ossola e altri episodi, Grossi, Verbania 1983. Postumo è stato pubblicato il racconto autobiografico Bortolina: Storia di una donna, Torino, Gruppo Abele 1996. Una sua diretta testimonianza è stata pubblicata nel libro di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, La Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi, pubblicato nel 1975 da La Pietra e ripubblicato nel 2003 dalla Bollati Boringhieri.

Una donna speciale: infermiera autodidatta, pittrice, combattente, comandante di una volante. Tra le molte donne che hanno sostenuto la Resistenza, Elsa Oliva, fatto insolito per quell'epoca, era una vera donna combattente, dichiarata e in tale ruolo riconosciuta: Tenente Elsa Oliva, Comandante di Polizia della Brigata “Franco Abrami” al Mottarone. Portare l'arma non era per lei un semplice vezzo decorativo, come si vede spesso sulle fotografie di donne che sfilano felici dopo il 25 aprile '45 per l'avvenuta liberazione, no, Elsinki e l'arma da combattente erano una cosa sola.
Infinite volte Elsa si trovò in serie difficoltà, sempre superate grazie alla sua simpatia personale e determinazione, accompagnata da intelligenza, furbizia ed esuberanza giovanile. Tutto risale alla sua giovinezza, alla decisione di cercare la sua strada lontano da casa, per ritornarvi ormai adulta a continuare la lotta per la libertà. Il legame più profondo è quello con il fratello Aldo, Ridolini, a cui Elsinki cerca di avvicinarsi con il trasferimento dalla Beltrami alla Valtoce e con l'intima convinzione di potergli essere d'aiuto, ma...inutilmente! Il dolore per la morte del fratello ucciso a Carcegna il 14 febbraio 1945, non riesce ad annientarla, anzi, la sprona a continuare con la determinazione di sempre e la consapevolezza del pericolo.
L'episodio della liberazione di Rino e Dulo la vede protagonista a Quarna al comando della Volante, composta da un gruppo di uomini che si fidavano di lei, avendola vista sempre in prima fila, senza mai abbandonare a se stesso chi era in pericolo. Questa donna di carattere ha voluto lasciarci la sua testimonianza, riordinando le sue memorie in appunti stesi nel 1945 al termine della guerra, in “Elsa Oliva – ragazza partigiana”, pubblicato dagli amici partigiani a cura del Raggruppamento Partigiano Verbano Cusio Ossola, che termina così:” Vado al piccolo cimitero a salutare i miei poveri compagni e mio fratello. Siedo sull'orlo della tomba e rimango a lungo a pensare ciò che sarà la mia vita a venire... Quassù c'è tanta pace... Cammino lentamente sulla strada che mi porta al piano. Non ho fretta di arrivare. Domani camminerò sull'asfalto! Su quell'asfalto che il mio adorato Aldo aveva tanto sognato.” Con lei, a 75 anni dalla Liberazione, ricordiamo chi ha dato la vita per l'Italia e chi, vivendo oltre, ha sempre dato prova di coerenza e adesione ai valori universali di libertà e democrazia.

Le volontarie e i volontari del Museo della Resistenza di Ornavasso

Per saperne di più:
- Elsa Oliva, Ragazza partigiana, La Nuova Italia, Firenze nel 1974.
- Elsa Oliva, La Repubblica partigiana dell'Ossola e altri episodi.
- Elsa Oliva, Bortolina. Storia di una donna, edizioni Gruppo Abe, postumo 1996, racconto autobiografico. Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, La Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi, La Pietra, 1975; ripubblicato da Bollati Boringhieri, Torino 2003.
- “Ricordi della Resistenza”, guida del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004.
- E. Massara, nella sua “Antologia”, parla di lei in “E' morto mio fratello” da pag.467. Istituto Storico della Resistenza “Piero Fornara”, Grafica Novarese, Novara 1984;
- Giorgio Buridan, “In cielo c'è sempre una stella per me”, Tararà, Verbania 2014.
- “Leggere la Resistenza” a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Margherita Zucchi, Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso e Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, Omegna 2020.

Il personaggio di Elsa compare in diverse opere tra cui Quaranta giorni di libertà di Luciano Codignola, con la regia di Leandro Castellani, lungometraggio del 1974 che narra l'epopea della Repubblica partigiana dell'Ossola nel 1944 dove il personaggio di "Elsinki" é interpretato da Maria Rita Barberis.
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Giacomo Luigi Bornia
Borgna Giacomo Luigi , “Riccardo” (Fenestrelle, Torino 1902 - Borgomanero 1968). Avvocato. Compì gli studi liceali a Novara. Si laureò nel 1925 a Pavia, in giurisprudenza. Attivo nell’ambiente cattolico, fondò a Borgosesia un Circolo giovanile e a Borgomanero il circolo “A. Pagani”. Nel 1920 si iscrisse al Partito Popolare, attivo antifascista, rifiutatosi di prendere la tessera del fascio venne sequestrato e manganellato. Ad Arona seguì gli incontri che mons. Domenico Pini tenne con alcuni studenti per organizzare forme di contrasto per le invadenze e i soprusi del fascismo. Nel 1923 partecipò a Torino al Congresso del P.P.I, dove era presente Guido Miglioli, da lui conosciuto nell'ambito delle Leghe Bianche. Dopo l’8 settembre fu accanto ad Alcide De Gasperi e Achille Marazza tra i più attivi organizzatori della Democrazia Cristiana, e addetto alle reti di collegamento fra i centri della Resistenza del piano con le formazioni partigiane del Cusio e dell’Ossola. Come rappresentante della DC tenne i contatti con il CLN provinciale, e con il Comitato Militare Piemontese tramite l’amico G. Biglieri (tra i fucilati del Martinetto nell’aprile ’44). Nel marzo 1944 si intensificarono a Borgomanero i contatti tra Alfredo Di Dio, Don Vandoni e altri antifascisti cattolici. Indicò ad Alfredo Di Dio il gruppo di giovani dell'Azione Cattolica sui monti sopra Ornavasso, organizzò una base per informatori e staffette e inviò molti ragazzi cattolici presso la formazione di Di Dio: la Valtoce. Ricercato dai fascisti nell’agosto ’44, raggiunse la Divisione Valtoce al Boden a Ornavasso e, nel settembre, ne divenne Commissario Politico; nel Comando Militare Unico fu designato Commissario del Comando Unico espressione della Valtoce, a fianco di Paolo Scarpone “Livio” espressione dei Garibaldini. Partecipò alla difesa dell’Ossola, riparò e fu internato in Svizzera. Rientrò in Italia, raggiunse Milano dove fu attivo nel Comando Generale del CVL, a fianco di Enrico Mattei, rappresentante della DC nel Comando stesso. Dopo la Liberazione fu nominato Commissario all’Agricoltura nel governo novarese del CLN. Rientrato riprese la professione di avvocato; fu sindaco di Borgomanero dal 1946 al 1956. In “Il sabato: settimanale d’informazione per Novara e provincia”, n.38, 11 ottobre 1969, all’articolo “Ricordiamo Somaglino e Borgna”, fu così descritto: “Alto ed esuberante, era un avvocato perfetto ed un uomo di rara sensibilità. Persona completa nelle sue dimensioni umane e spirituali ha sempre portato dentro di sé il senno di una personalità chiara e determinata”. Màspero Rita (Vigevano 1902 - 1999). Maestra della scuola elementare di Cureggio, dove aveva conosciuto Giacomo Luigi Borgna, che sposò a Vigevano il 5.11.1927. Proveniente da famiglia profondamente cattolica, non accettava il clima di violenza e la prepotenza che il fascismo abitualmente usava. Ma per una maestra, obbligata dal regime ad un insegnamento nozionistico e propagandistico insieme, che usava la storia per inneggiare alla dittatura di Mussolini, non era facile sottrarsi a quello che veniva imposto come “dovere”. Tuttavia Rita, di carattere forte ed in piena sintonia con il marito che manteneva contatti politici con i gruppi cattolici, sapeva esercitare in modo personale e autonomo il suo dissenso verso il regime, a volte fin anche con troppa evidenza (cfr. Giacomo Luigi Borgna, un popolare alle origini della nostra democrazia, di G.A.Cerutti, Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, Novara 2008, pp.55 e ss.). Rita e Gino ebbero numerosi figli: Eugenio 1930, Maria Teresa 1932, Piergiorgio 1934, Maria Emilia 1936, Laura 1938, Riccardo 1943, anno in cui Giacomo Luigi Borgna iniziò la partecipazione attiva al CLN. Già dal 25 luglio Rita Màspero accentuò la sua posizione antifascista, accanto al marito che aveva avuto modo di conoscere Alcide De Gasperi in visita al fratello Augusto ospite a Borgomanero da Achille Marazza. Infatti in quei giorni vennero diffuse tramite Marazza le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana e il Programma di Milano. Alcune riunioni del CLN si svolsero presso la cascina tra Cressa e Bogogno di proprietà Borgna e la stessa loro casa di Borgomanero divenne presto un centro informativo e di smistamento di persone e materiali, così che Rita fu parte attiva dell'azione clandestina e conobbe i fratelli Di Dio, che lei ed il marito consideravano come figli. Proprio da Borgna prese le mosse Alfredo Di Dio verso l'Ossola. Ma quando il marito, ricercato, si vide costretto alla clandestinità, anche Rita sfuggì alla cattura, nascondendosi con i figli a Pella dalla sorella e poi a Grassona da Don Giovanni Vandoni. Sostenne il marito e, con i figli più grandi, la Resistenza, in particolare la Valtoce. La loro casa venne requisita dalla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) e dalla loro cascina di Bogogno vennero prelevati dai garibaldini trenta bovini. Alla vigilia della liberazione, Rita Maspero si presentava coraggiosamente per essere risarcita del furto e dei danni subiti alla casa, con scarso risultato, ma con la gioia imminente di poter esporre sul balcone la bandiera tricolore il 25 aprile.


RESISTENZA un avvenimento tragico
Giacomo Luigi Borgna è stata una figura di primo piano nella Resistenza Italiana. Antifascista da sempre, non poteva che essere totalmente impegnato nella lotta di Liberazione e poi nella ricostruzione della vita politica e civile italiana. Era un uomo d'azione organizzativa e pur avendo idee politiche molto chiare, non dedicava tempo a scriverle in modo teorico, bensì si dedicò alla loro realizzazione concreta. La moglie, Rita Maspero, che gli fu sempre accanto, ci ha lasciato qualche stralcio di suoi discorsi che oggi ci illuminano.
ANTIFASCISMO
 “ La cospirazione antifascista, da cui nacque la Resistenza, fu un grande dilemma. L'opposizione al fascismo fu difficile anche se non paragonabile ai rischi dell'antinazismo. Cospirare voleva dire: pazienza, impegno, pericolo. Per i cattolici, come per tutti, si poneva il problema di accettare il fatto compiuto di una linea politica che si poteva sperare redimibile o passare all'opposizione perchè non si credeva nella redimibilità.
Molti cattolici cooperavano col fascismo perchè era il regime di fatto e di diritto. Altri, per quanto pochi si opposero e l'opposizione richiese pazienza, tempo e censura, lavoro di studio, di indagine, di prospettiva e per ultimo, particolarmente significativo, vi fu un movimento di élite che non attese il '42 o il '44 per avere un volto e lanciare un invito.
Come il seme di frumento per dare il frutto deve marcire nella terra, così l'anelito della resistenza doveva annientarsi nelle umiliazioni più cocenti, nei drammi più disumani, nell'attesa più snervante, nella rabbia impotente di fronte a certe manifestazioni grottesche, per poi sfociare nel periodo più eroico che va dal 1943 al 1945.
Tutti quelli che avevano taciuto per anni si ritrovarono per comunicare, per esprimere le loro idee e soprattutto per formare una unità che sebbene inferiore di numero a quella del fascismo era straordinariamente superiore per forza morale che veniva dall'ideale di libertà, di giustizia, di altruismo che animava questi uomini....
“ in Rita Borgna “La nostra Resistenza” estratto dagli appunti di Giacomo Luigi Borgna, stampato in proprio, Borgomanero 1978.
RESISTENZA FU...
“Fu un avvenimento tragico, ma fu premessa per instaurare il nuovo ordine democratico e sociale nella libertà.
Fu una rivolta e importò unità di azione contro gli arbitrii di oppressioni domestiche e straniere. Contro le responsabilità dei delitti razzistici, contro la dittatura di stato-partito.
Fu invito ad attuare le libertà: rispetto allo straniero, al regime politico, alla giustizia sociale. Servì per attuare la difesa di valori spirituali e di cultura.
Ma per fare ed ottenere tutto questo, occorse combattere per costruire la libertà politica e sociale sugli odii, sui risentimenti, sui lutti, per attuare lo stato di diritto al di sopra delle diverse collocazioni politiche, diverse fedi religiose, condizioni sociali, per difendere l'uomo dall'oppressione, dalla paura, dalla ingiustizia.
Fu un monito a ciascuno di noi: per impegno, senso di responsabilità; ai gioivani: perché apprezzinoil bene della libertà, voluto dai padri con i sacrifici.
Ma fu una delle grandi idee che fanno storia ed hanno una visione universale di pace, di progresso, di libertà”.
in Rita Borgna “La nostra Resistenza” estratto dagli appunti di Giacomo Luigi Borgna, stampato in proprio, Borgomanero 1978.
Noi non vogliamo dimenticare il suo esempio, non vogliamo dimenticare la sua lezione pratica.

Le volontarie e i volontari del Museo della Resistenza . Ornavasso.

Per saperne di più:
-Giacomo Luigi Borgna, in Rita Borgna “La nostra Resistenza” estratto dagli appunti di Giacomo Luigi Borgna, stampato in proprio, Borgomanero 1978.
- Giovanni A. Cerutti, Giacomo Luigi Borgna, un popolare alle origini della nostra democrazia, Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, Novara 2008.
- Enrico Massara, Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Istituto Storico della Resistenza “Piero Fornara”, Grafica Novarese, Novara 1984.
- Leggere la Resistenza a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Margherita Zucchi, Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso e Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, Omegna 2020.
- Giovanni Cerutti, L'eredità politica di Giacomo Luigi Borgna, con un ricordo di Eugenio Borgna, Borgomanero 2018.
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Antonio Di Dio
Di Dio Antonio (Palermo 17.03.1922 - Megolo 13.02.1944). Nato a Palermo, nel 1928 la famiglia si trasferì a Cremona, dove egli studiò al liceo classico Manin di Cremona. Dopo la Maturità classica, si iscrisse all’ Università di Pavia che gli conferì la laurea ad honorem, post mortem, nel 1947; giovane sportivo praticò canottaggio, equitazione e scherma a livello agonistico con buoni risultati, fu campione di scherma, eccellendo nel fioretto. Antonio frequentò, come il fratello Alfredo, l’accademia militare di Modena dove Antonio uscì con il grado di sottotenente; fu inviato al 114° reggimento di fanteria in Calabria, da dove venne trasferito alla scuola di applicazione di Parma; si trovava di stanza a Parma al momento dell’armistizio. Si ribellò ai tedeschi, fuggì dalla prigionia dopo l’arresto, e raggiunse in montagna il fratello Alfredo e fondò con lui il gruppo Massiola in Valle Strona. Antonio cadde a Mégolo il 13 febbraio del 1944 accanto a Beltrami, che si rifiutò di abbandonare. I due fratelli Di Dio usarono il nome Diala come raccontò Renato Richetti, il partigiano “René che li incontrò all’osteria di Crusinallo. Molti sono gli scritti pubblicati da cui emergono le personalità dei due fratelli. Tra i primi a incontrarli fu Aristide Marchetti, il quale scrisse il 6 gennaio ’44: “Vengo a conoscere meglio i fratelli Di Dio. Sono due ragazzi in gamba: egualmente generosi e decisi. Mi stupisce l’età di Alfredo, specie nei confronti del fratello. Come carattere e portamento. Alfredo dimostra venti anni di più: appartato, serio, riservato, tanto quanto Antonio è vivace, entusiasta, ciarliero. Uno attira il rispetto, l’altro la confidenza”, in Ribelle, cit., p. 63. Anche Guido Weiller, il ragazzo ebreo che si era unito ai partigiani, ricordò i due fratelli Di Dio a Campello Monti, al comando di Beltrami, in G. Weiller, La bufera…cit: Come al fratello Alfredo, gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria. Presso il Comune di Pieve Vergonte nel certificato di morte, accanto al nome di Antonio Di Dio vi è come professione: “impiegato”, da indagine di Margherita Zucchi si apprende che è stata una imposizione fascista, perché non era accettabile che un ufficiale dell’Esercito apparisse come morto in combattimento avendo scelto di essere partigiano nella Resistenza.

Una vecchia canzone dei bersaglieri, trasformata in canto partigiano, ad opera di... Antonio Di Dio, tenente di fanteria! È diventata la canzone del Gruppo Massiola, della Formazione d'assalto Valle Strona e poi quella della Formazione Beltrami, si è diffusa a tutta la Valtoce e a tutto il Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio. Oggi si direbbe un bel successo discografico! Antonio amava la musica e possedeva una certa vena creativa, che riusciva ad esprimere in molteplici situazioni. Così questo ritmo accelerato è diventato la canzone - inno “Marciar marciar” Antonio era estroverso, allegro, generoso, predisposto all’amicizia ed ai rapporti umani, come ricorderà Marchetti amico comune nella vita partigiana.
Giovane, sportivo, compì studi classici e frequentò l’Accademia Militare di Modena, si iscrisse come il fratello maggiore Alfredo alla Facoltà di legge a Pavia, ma la guerra lo portò altrove. Seguì le orme di Alfredo, che amava moltissimo, di cui si fidò sempre e da cui era amato e stimato. Erano cresciuti insieme, maturando un legame forte e una grande intesa. Avevano un “comune sentire”, ma erano diversi. Alla riservatezza carismatica di Alfredo, Antonio poneva sull'altro piatto della bilancia tutta la simpatia di un carattere estroverso. Giovane, ma coraggioso, subito dopo l’armistizio con le armi in pugno combatté a Parma, dove era dislocato, contro i tedeschi. Scelse con consapevolezza e decisione di salire in montagna al fianco del fratello Alfredo quando, in una breve tappa di ritorno a casa, disse al padre che avrebbe voluto fermarlo in considerazione della sua giovane età, di non essere un bambino, ma di sapere ciò che faceva. Era sempre pronto a battersi senza risparmiarsi, come in occasione dell’aiuto decisivo portato ai garibaldini in Valsesia attaccati dai nazifascisti, quando il valore di Antonio fu riconosciuto dallo stesso Moscatelli. Dopo l’arresto di Alfredo si prodigò in ogni modo per la sua liberazione. Morì a Megolo al fianco di Beltrami. Non volle abbandonare il Capitano nemmeno quando lui stesso glielo ordinò, rimase, affermando di non essere un vigliacco. Fu colpito alla gamba destra, e ad un occhio. Le ferite mortali spensero i suoi luminosi occhi azzurri. Alfredo appena liberato dal carcere di Novara si recò sul luogo preciso della morte di Antonio e vi rimase a lungo. Solo.

MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE

Per saperne di più:

- Cesare Bettini, Memorie di un partigiano, I quaderni del portavoce n 28, Cassano d’Adda [1995]
- Paolo Bologna, La battaglia di Mégolo, Comune di Pieve Vergonte, 2007
- Giorgio Buridan, “Antonio ed Alfredo Di Dio”, in Valtoce, Volantino della 1° Divisione del Raggr. Div. Patrioti Cisalpine “Alfredo Di Dio”, anno 2, 1945, Baveno, n. [1] 27.04.1945, e Milano, n. 3, 3.05.1945
- Giuliana Gadola, Il Capitano” Sapere 2000, Roma 2004
- Aristide Marchetti “Aris”, Ribelle: nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio: novembre 1943 – dicembre 1944, Hoepli, Milano 2008
- Enrico Massara, nella sua Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese, Ist.St.Resistenza, Novara 1984
- Eugenio Cefis “Alberto”, Marco e Antonio Di Dio, in Mercurio, dicembre 1945
- Associazione Raggrupp. Div. Patriorioti “Alfredo Di Dio” e Museo della Resistenza di Ornavasso, Antonio e Alfredo Di Dio, ribelli per amore, Busto Arsizio, Ornavasso, s.d.
- Guido Weiller, La bufera – una famiglia di ebrei milanesi con i partigiani dell'Ossola, Giuntina, Firenze 2002.
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Alfredo Di Dio
Di Dio Alfredo, “Marco”, “Diala” ( Palermo 1920 – Fìnero 1944). Seguì gli studi classici a Cremona; giovane sportivo praticò canottaggio, equitazione e scherma a livello agonistico con buoni risultati, soprattutto nell'uso della spada. Si era iscritto alla Facoltà di Legge, e venne ammesso all’Accademia militare di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente carristi; fu istruttore a Vercelli e diventò tenente del 1° Reggimento fanteria corazzata. L’8 settembre tentò di opporsi ai tedeschi con un gruppo di uomini e di carri armati, rischiò l’arresto da parte dei superiori e si diede alla macchia, raggiungendo Cavaglio d’Agogna, dove venne raggiunto dal fratello Antonio, che a Parma, dove era alla Scuola di Applicazione, era riuscito a fuggire dall’arresto tedesco, seguito ad una resistenza opposta con altri militari per tre giorni. Poi entrambi i fratelli si portarono in Val Strona dove organizzarono la banda Massiola, una delle primissime bande partigiane in Piemonte. A dicembre del 1943 avvenne l’unione con la formazione di Filippo Maria Beltrami, dando vita alla Brigata Patrioti Val Strona. Alfredo assunse il comando tecnico-tattico della nuova formazione. Alfredo fu arrestato il 23 gennaio a Milano dove si era recato per incontrare il CLN e chiedere armi e finanziamenti. E per questo non partecipò alla battaglia di Megolo, dove oltre a Beltrami morì il fratello Antonio. Trasportato al carcere di Novara vi rimase fino all’aprile 1944. Alfredo uscito dal carcere tornò in montagna in Ossola sopra Ornavasso e costituì il Gruppo Patrioti Ossola che il primo luglio divenne Valtoce il cui motto fu “La vita per l’Italia”, e i cui appartenenti erano contraddistinti dal fazzoletto azzurro. Alfredo, “Marco”, giovanissimo e amatissimo dai suoi uomini creò una formazione bene addestrata e coraggiosa, di orientamento cattolico, pur militando in essa appartenenti al Partito d’azione, Socialisti e Liberali oltre che Democratico Cristiani. La Valtoce divenne una delle formazioni più numerose dell’Ossola. Alfredo di Dio collaborò con le altre formazioni autonome dell’Ossola, la Valdossola e la Battisti, fu il principale autore della trattativa che costrinse i nazifascisti ad abbandonare Domodossola, senza coinvolgere i 30.000 abitanti in un conflitto a fuoco. Morì a Finero il 12 ottobre 1944 in un’imboscata mentre difendeva la repubblica dell’Ossola. Sia Megolo sia Finero, nello svolgimento dei fatti, presentano ancor oggi contraddizioni e interrogativi mai chiariti e non del tutto risolti. L’ università di Pavia gli conferì la laurea ad honorem nel 1947. Gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria. Ad oggi non è ancora stata scritta una biografia completa del comandante Marco, la cui personalità per rigore, valore morali e capacità militari, ha lasciato in chi l’ha conosciuto un ricordo indelebile. Ma molte sono le testimonianze su lui e le sue azioni, a iniziare da Aristide Marchetti nel suo Ribelle, cit.. nella sua Antologia, cit. Enrico Massara, scrisse le biografie dei due fratelli Di Dio; e molte testimonianze su Alfredo Di Dio si trovano oggi in quasi tutti gli scritti sulle vicende partigiane in Ossola; i giornali svizzeri alla sua morte gli dedicarono lunghi articoli. Per scritti dedicati espressamente ad Alfredo e Antonio Di Dio, vedi Buridan Giorgio.


“Il mio Comandante”, lo chiamava orgogliosamente Giorgio Buridan, suo affezionato patriota, che custodiva l'immagine di “Marco” come fosse un santino tra i suoi documenti. “Il nostro Comandante” lo chiamiamo noi volontarie e volontari del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso, paese dove le persone lo ricordano sempre con affetto, soprattutto se erano suoi partigiani; con rispetto se erano dalla parte avversa; con il rispetto dovuto ad un uomo sempre leale, onesto, giusto e mai vendicativo. “Eroe” lo hanno definito i ricercatori storici inglesi, venuti ad Ornavasso negli anni ottanta, per uno studio sulla memoria storica. “Supereroe” lo chiamerebbero oggi i ragazzini nei loro giochi di ruolo, così come lo vedevano anche i ragazzini di allora che, quando giocavano, volevano sempre stare dalla parte dei partigiani.

 “...Campello Monti ci sono novità: con noi ci sono i partigiani di Alfredo e Antonio di Dio. Il loro gruppo si è fuso con il nostro dando vita alla brigata patrioti Val Strona con due compagnie la “Quarna” e la “Massiola”. Competenza militare e reclutamento sono riservate ad Alfredo, Antonio è ufficiale di ordinanza. Beltrami è il comandante. Il 23 dicembre avvenne l’incontro cordialissimo, festante. Gli uomini di Dio vengono avanti cantando un inno bersaglieresco. È un motivo bellissimo....” (A. Marchetti) I due fratelli, Alfredo e Antonio Di Dio, erano infatti militari fino al midollo: da poco usciti dall'Accademia di Modena, avevano scelto di restare in servizio permanente effettivo e l'appartenenza all'esercito era il loro orgoglio, oltre che la loro regola di vita. Alla Messa domenicale partecipavano con la Compagnia che faceva il presentat'arm al momento dell'elevazione e la vita giornaliera dei partigiani era scandita, per quanto possibile, dal ritmo dell'addestramento e della formazione delle reclute.
 Le prime azioni furono volte a racimolare armi e Alfredo Di Dio inventò, per evitare spargimento di sangue, un originale espediente: girava guidando un autofurgoncino, nascosto all’interno nel mezzo con mitra spianato vi era Carlo Zanini; quando le pattuglie tedesche e fasciste li fermavano e chiedevano i documenti, Alfredo diceva di rivolgersi al compagno, saltava fuori Carlo che intimava il “mani in alto”, così si facevano consegnare le armi.
Nel dicembre del 1943 avvenne l’unione con la formazione di Filippo Maria Beltrami, dando vita alla Brigata Patrioti Val Strona. Alfredo assunse il comando tecnico-tattico della nuova formazione. La fusione avvenne dopo un fortuito drammatico incidente alla salita del Buccione presso Orta, in cui Beltrami e la moglie, che viaggiavano su una macchina sequestrata ai nazisti furono fatti oggetto, perché scambiati per tedeschi, di una sparatoria da parte degli uomini di Alfredo Di Dio; restarono leggermente feriti Beltrami stesso e la moglie, e morì il giovane autista Franco Rossari. Ma questa collaborazione ebbe poco tempo per svilupparsi appieno: il 13 febbraio, mentre Alfredo Di Dio incarcerato dopo l’arresto del 28 gennaio, il Capitano Filippo Maria Beltrami e Antonio Di Dio al suo fianco, morivano in battaglia al Cortàvolo di Megolo. Nulla fu più come prima.
All'uscita dal carcere Alfredo, il 6 marzo, dopo un periodo trascorso presso l'Avvocato Giacomo Luigi Borgna, esponente del C.L.N. di Borgomanero, per lui e il fratello come un padre, raggiunse dei giovani che si erano dati alla macchia sopra Ornavasso. All'Alpe Cortemezzo, incontrò Nicola Rossi ed altri ragazzi del posto diventando il Comandante “Marco”, suo nome di battaglia.
Ogni giorno il gruppo si ingrandiva perché molti renitenti alla leva sapevano di poter trovare nel “Primo Gruppo Ossola” un comandante serio e competente. Dal 1° luglio 1944 il gruppo prese il nome di “Valtoce” e con la “Valdossola” a Piedimulera, con la “Piave” dalla Cannobina, con le “Garibaldi” in Valle Antigorio e Formazza, crearono i presupposti per la liberazione di Domodossola, con la storica trattativa del 9 settembre, condotta tra gli altri da Alfredo Di Dio, nel ruolo militare, il solo ruolo riconosciuto dai tedeschi.
Anche per Alfredo il tempo fu breve: in una pericolosa ricognizione a Fìnero, Alfredo Di Dio cadde, eroe e martire, pensando al fratello e alla Patria, dicendo: “Anch'io ho dato la mia vita per l'Italia”.
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE

Per saperne di più:

- Ricordi della Resistenza, guida del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004.
- Anita Azzari, L’Ossola nella Resistenza Italiana, Il Rosso e il Blù, S.Maria Maggiore (VB) 2004
- Giorgio Buridan, In cielo c’è sempre una stella per me: Diario di guerra partigiana…, Tararà, Verbania 2014
- Vincenzo Beltrami “Barba”, Con la Valtoce nella terra che bevve il suo sangue, Comune di Valstrona, 2008
- Vincenzo Beltrami, La Valle Strona nella bufera, 8 settembre 1943-25 aprile 1945: testimonianze partigiane nella Resistenza, Alberti, Verbania 2003 Cesare Bettini, Memorie di un partigiano, I quaderni del portavoce n 28, Cassano d’Adda [1995]
- Giorgio Bocca, Una repubblica partigiana: Ossola, 10 settembre – 23 ottobre 1944, il Saggiatore, Milano 1964
- Renato Boeri, Ricordo di Alfredo Di Dio, in L’invenzione della vita: Scritti sulla Resistenza…, Mazzotta, Milano 1996
- Paolo Bologna, La battaglia di Mégolo, Comune di Pieve Vergonte, 2007
- Giorgio Buridan, “Antonio ed Alfredo Di Dio”, in Valtoce, Volantino della 1° Divisione del Raggr. Div. Patrioti Cisalpine “Alfredo Di Dio”, anno 2, 1945, Baveno, n. [1] 27.04.1945, e Milano, n. 3, 3.05.1945
- Buridan Giorgio, Alfredo Di Dio il partigiano che liberò Domodossola, in Valtoce, supplemento al numero 15 di “Sabato”, ventennale, 1965. (Estratto da Ossola Insorta, , n.unico, 1945), e ristampato come inserto in “Valtoce”, supplemento a “Comune informa”, Ornavasso 2015, nel settantesimo della Liberazione.
- Giovanni A. Cerutti, Giacomo Luigi Borgna, Istituto Storico della Resistenza nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola “Piero Fornara”, 2008
- Eugenio Corti, Il Cavallo Rosso, Ares, Milano 2009
- Ferruccio Lanfranchi “Il Furiere”, Di Dio e la Valtoce, Supplemento a Popolo e Libertà, Bellinzona, n.7, 15.02.1945; e “Di Dio è morto”, del 19.10.1944 Aristide Marchetti “Aris”, Ribelle: nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio: novembre 1943 – dicembre 1944, Hoepli, Milano 2008
- Enrico Massara, nella sua Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese, Ist.St.Resistenza, Novara 1984, gli ha dedicato oltre alle notizie nel capitolo I giorni e la battaglia di Megolo” pp. 578-598, una biografia, pp.739-743.
- Eugenio Cefis “Alberto”, Marco e Antonio Di Dio, in Mercurio, dicembre 1945
- Associazione Raggrupp. Div. Patriorioti “Alfredo Di Dio” e Museo della Resistenza di Ornavasso, Antonio e Alfredo Di Dio, ribelli per amore, Busto Arsizio, Ornavasso, s.d.
- Luigi Pellanda, L’Ossola nella tempesta, Grossi, Domodossola 2002
- Peter Tompkins, L’Altra Resistenza: Servizi segreti, parigiani e guerra di liberazione…, Il Saggiatore, Milano 2009
- Guido Weiller, La bufera – una famiglia di ebrei milanesi con i partigiani dell'Ossola, Giuntina, Firenze 2002.
- “Valtoce”, Volantino quotidiano della divisione e degli aderenti alla formazione, Domodossola 1, 26.09.1944 – n.8, 5.10.1944 [gli articoli, non firmati del volantino, rispecchiano il pensiero del comandante Alfredo Di Dio, che incaricò della redazione il Commissario di guerra “Giorgio” Buridan]
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Filippo Maria Beltrami
Beltrami Filippo Maria, il “Capitano” (Cireggio 1908 – Mégolo 1944). Architetto, sposò Giuliana Gadola da cui ebbe tre figli Luca, Giovanna e Michele. Diversi i nomi per definire la personalità di Beltrami, “Il Capitano”, così come il titolo che la moglie Giuliana Gadola Beltrami, darà al suo libro (editore Lampi di Stampa); “Il Cavaliere alla macchia”, secondo Concetto Pettinato (articolo 29.10.1943 su La Stampa); “Il signore dei ribelli”, titolo dato da Mauro Begozzi al suo libro dedicato a Beltrami (ISRN , Anzola d'Ossola 1991). Beltrami nel 1943 era capitano di artiglieria, dopo l’8 settembre fuggì dalla caserma di Baggio e, recatosi nella villa di famiglia a Cireggio, dove era già noto per le sue idee antifasciste, rispose alla richiesta di alcuni giovani del luogo e di militari “sbandati” e di un gruppetto che già si era formato sopra Quarna, di porsi al comando della resistenza. Ottimo organizzatore e benvoluto, ricevette molti aiuti da parte delle popolazioni del Cusio, così che a fine ottobre i partigiani erano già una sessantina e su di lui fu posta dai fascisti una taglia di centomila lire. Alla fine di gennaio la Formazione Brigata Patrioti Valstrona, che riuniva uomini di diversa fede politica, a causa di un concentramento di forze nemiche in Valstrona, si portò in Val d’Ossola. Beltrami andò a Megolo dove, respinte le proposte di resa dei tedeschi, fu ucciso in battaglia con altri 11 partigiani. In suo onore gli venne intitolata la Brigata Alpina d'assalto Filippo Beltrami, comandata da Bruno Rutto. A Filippo Maria Beltrami è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.


“Dovere di combattere per la giustizia, dovere di non isolarsi quando il mondo intero lotta e soffre, dovere di essere umani e dignitosi. Uno di fronte all'altro, soprattutto. Ed è qui che si sono poste le radici del fatto personale. Perché sentivamo che, mancando a quel che ci pareva un obbligo preciso, avremmo perso un poco di stima di noi stessi, un poco di stima l'uno dell'altro.” Con le parole della moglie, Giuliana Gadola, veniva espresso un comune sentire, una decisione sofferta ma irrefrenabile.
Lo stile, il garbo, la calma, la gentilezza dell'uomo erano anche le caratteristiche del soldato, richiamato nell’esercito nel maggio del '43 col grado di tenente: lui sapeva bene di rappresentare, anche se in una recondita valle di montagna, il Governo Italiano costituitosi nel Sud d'Italia; sapeva bene di rappresentare, in quanto militare, la parte sana dell'esercito regio e cercava di farlo al meglio. “ Non era facile elaborare i piani d'azione, definire quotidianamente un “ordine del giorno” e, all'interno di questo, stabilire dove avrebbero dovuto dirigersi una o più pattuglie, una o più squadre. Per il Capitano, per Lino e per altri due o tre “ufficiali” (di fatto, anche se non di nome) c'erano da tenere i contatti con Omegna, con i vari CLN, con l'organizzazione clandestina del Cobianchi, la grande industria metalmeccanica della città, un essenziale fattore d'appoggio, di spinta, di rifornimenti, come avrei constatato di persona più tardi.” Sono parole di Guido Weiller di famiglia ebrea, approdata clandestinamente ai monti del Cusio e dell'Ossola, grazie alla lungimiranza del padre Augusto. Inoltre in quei primi mesi di Resistenza la sistemazione per tutti coloro che sceglievano la montagna, il cibo, il vestiario, le armi costituivano la preoccupazione quotidiana. Non mancavano le azioni armate: il 30 novembre Beltrami e Moscatelli riuscirono a occupare e“tenere” Omegna dall'alba a metà giornata nel tripudio della folla.
Proprio in quei primi tempi arrivò in Valle Strona la prima delle radio ricetrasmittenti per le comunicazioni a lungo raggio e nacquero i primi progetti di stampa clandestina. Il Capitano si rivolgeva spesso alla popolazione con manifestini e proclami, inoltre aveva immaginato, insieme ai fratelli Antonio e Alfredo Di Dio un vero e proprio giornale, organo del CLN. L'idea venne attuata solo durante l'estate del '44 da Licinio Oddicini, che ne aveva ricevuto l’incarico, quando ad Omegna dichiarata “zona neutra” avrebbe potuto trovare finalmente lo stampatore de' Il Crivello. L'involontario incidente sulla strada di Buccione, che costò la vita all'autista e aveva coinvolto lo stesso Capitano e la moglie Giuliana , sebbene procurasse loro lievi ferite, fu causa di una sonora litigata, con Alfredo Di Dio che si scusò.L’avvenimento portò all’accordo reciproco per accorpare le due formazioni: l'una dislocata a Massiola, l'altra al Cortavolo dando vita alla. Brigata Patrioti Valstrona. Ma a fine dicembre, in cerca di una posizione migliore per l'inverno, il gruppo si spostò a Campello Monti affrontando una pesante marcia di trasferimento, con gli occhi sempre puntati su Omegna dove fu disposto un blocco per l'approvvigionamento di armi. “Il mese di gennaio segnò l'apice dei successi... Alfredo Di Dio aveva il comando tecnico militare del gruppo, Filippo il comando militare superiore, che si allargava alle tre valli; e così, alleggerito di molto lavoro materiale, aveva più tempo per 'fare la guerra'. Ad ogni nuova impresa la sua fama si allargava ancora, acquistava sapore e proporzione di leggenda. La popolazione soprattutto si entusiasmava e collaborava generosamente, eroicamente talvolta, coi partigiani.” (Giuliana Gadola) L'8 gennaio '44 ci fu un incontro in un monastero ad Ameno con il prefetto di NovaraTuninetti, il questore Abrate, alla presenza del Vescovo Mons. Ossola per un patto di non belligeranza: Filippo con garbo rifiutò l'accordo.
Tre giorni dopo un pesante attacco nazifascista avvenne in Valsesia: subito Beltrami inviò rinforzi a Moscatelli, un centinaio di uomini al comando di Antonio Di Dio e di Li Gobbi.
A fine gennaio arrivarono ad Omegna i Tedeschi delle SS. Alfredo Di Dio il 28 gennaio era stato arrestato a Milano e tradotto in carcere a Novara, dal quale fu rilasciato solo il 6 marzo.
Le frequenti puntate e l' azione di blocco erano diventate inaccettabili per i nazifascisti, quindi la posizione in testa alla valle stava diventando troppo pericolosa. Fu deciso uno spostamento in pieno inverno verso la Val d'Ossola. A metà strada, all'Alpe del Campo, Beltrami lasciò liberi gli uomini di continuare o di rinunciare. Ci fu un momento di nervosismo e di scoraggiamento. Ed è a questo punto che il Capitano Simon propose un ambiguo atto di clemenza, : libertà per gli ufficiali ed arresto per tutti gli altri. Il Capitano rifiutò decisamente. La situazione precipitò verso la battaglia più studiata e più discussa di tutta la storia partigiana del territorio: la battaglia di Megolo dove persero la vita, insieme al Capitano Filippo Maria Beltrami, il tenente Antonio Di Dio, il tenente Giovanni Antonio Citterio, Clovena Angelo, Bassano Angelo, Carletti Aldo, Marino Paolo, Toninelli Elio, Gorla Emilio, Antibo Carlo, Creola Bartolomeo, Pajetta Gaspare.
La volontarie e i volontari del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso

Per saperne di più:
-  “Ricordi della Resistenza”, guida del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004.
- Mauro Begozzi“Il signore dei ribelli”,ISRN , Anzola d'Ossola 1991 Aristide Marchetti”Aris”, Ribelle: nell’Ossola insorta con Beltrami e Di Dio: novembre 1943 – dicembre 1944, Hoepli, Milano 2008
- Cesare Bettini, “Memorie di un partigiano”, Il Portavoce, Cassano d’Adda [1995]
- Paolo Bologna, “La battaglia di Mégolo”, Comune di Pieve Vergonte, 2007
- E. Massara, nella sua “Antologia”, gli ha dedicato “I giorni e la battaglia di Mégolo” un ampio capitolo dalle pagine da 578 a 598;
-  “Il Cavaliere della Macchia”, nel giornale di Bellinzona, Popolo e Libertà, articolo a firma P.F. nel supplemento di giovedì 15 febbraio 1945.
- Mario Macchioni, “Filippo Maria Beltrami: Il Capitano”, Mursia, Milano 1980.
-  Guido Weiller, “La bufera – una famiglia di ebrei milanesi con i partigiani dell'Ossola”, Giuntina, Firenze 2002.
- Giorgio Buridan, “In cielo c'è sempre una stella per me”, Tararà, Verbania 2014
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Andrea Oliva
19 gennaio 1945 ANDREA OLIVA, figlio di Oliva Pietro e di Antonietta Lavarini , 19 anni, cade per fucilazione a Cambiasca.
È giovane Andrea, classe 1925 richiamata alla leva dalla Repubblica Sociale Italiana (RSI) .

 Su tutti i giornali della R.S.I. del 16 ottobre 1943 comparve la chiamata alle armi*. Verrà chiamata “Bando Graziani”: “In caso di mancata presentazione dei militari soggetti alla predetta chiamata, oltre alle pene stabilite dalle vigenti disposizioni del codice militare di guerra, saranno presi immediati provvedimenti anche a carico dei capi famiglia”.

Contemporaneamente e clandestinamente il comandante del Fronte Militare Clandestino, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, stava preparando una circolare, diramata a dicembre '43 dal Comando Supremo del Regio Esercito “per la organizzazione e la condotta della guerriglia” di cui vennero a conoscenza i militari a capo della Resistenza.

Andrea deve prendere una decisione. Subito. Perché andare a militare con i repubblichini? Per il miraggio dell'impero? O per l'alleanza con i nazisti di Hitler che hanno invaso l'Europa? A Ornavasso sono tanti i giovani dell'Azione Cattolica a porsi certe domande, proibite, e a decidere di non rispondere alla chiamata, di darsi alla macchia, sparsi negli alpeggi sopra il paese. E poi il podestà, Italo Bracco, li aveva accompagnati al treno alla partenza per il militare, e loro erano saltati dalla parte opposta col treno in partenza e… via per la campagna. Anche Andrea lascia il suo lavoro da meccanico e si arruola in un altro esercito povero, quello che combatte per la libertà, che aiuta i perseguitati, perché tutti abbiano la stessa dignità di persone, uomini e donne: entra nella Divisione Valtoce... c'era anche un prete di Ornavasso, Don Sisto Bighiani.

Il partigiano segue i movimenti della Valtoce a difesa della zona libera dell'Ossola a Fìnero. E ci sono tanti altri giovani con lui, certi sono già morti, certi sono espatriati nell'autunno del '44, lui era riuscito a rimanere a Ornavasso nel gruppo partigiano “Valtoce” della Valstrona - c'era già un fratello, lontano dalla famiglia -; il giorno del rastrellamento, 6 gennaio 1945, all'alpe Cuna sono stati catturati con Andrea anche Enrico Menconi di 22 anni di Candoglia e Ermes Camona di 19 anni di Gravellona Toce. Fatti sfilare per la contrada di mezzo, oggi via Andrea Oliva, sono portati a Intra. Si attivano le relazioni per uno scambio di prigionieri. Troppo tardi: la sete di vendetta per i due ufficiali della Brigata Nera, uccisi a Ramello il 02 gennaio dai Partigiani della Valgrande Martire, ha prevalso sulla pietà e sulle leggi di guerra - non riconosciute dalle dittature - nell'anticipare la fucilazione, con il conforto religioso di Mons. Bozzini, parroco di Intra.**

Le donne del posto ricomposero i corpi per porli nelle bare ed accompagnarli in corteo funebre al cimitero. Di questa pietà cristiana fu accusato il Parroco di Cambiasca, don Giacomo Baronio, aggredito dai fascisti e minacciato di morte. Anche a questo portano le dittature.

Le volontarie e i volontari del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso.

Per saperne di più:

- Alberto Oliva (fratello), “Diario, settembre – dicembre 1943” a cura di Paolo Crosa Lenz in Almanacco Storico Ossolano 2011, Grossi, Domodossola 2010.
- Mozzanino Don Pietro, Ornavasso 1944/'45 la guerra nell'Ossola, a cura di Damiano Guerra ciclostilato in proprio.
-  “Ricordi della Resistenza”, guida del Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio” di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti “Alfredo Di Dio”, ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004.
- Enrico Massara, Fucilazione alle “due cappelle” in Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese, Istituto Storico della Resistenza “Piero Fornara”, Grafica Novarese, Novara 1984.
- Luigi Minioni, Il V.C.O. e la Resistenza, patrocinio della Casa della Resistenza, inedito, stampato in proprio.
- Testimonianza di Mario Parmigiani in “In cielo c'è sempre una stella per me” di Giorgio Buridan [il redattore del giornale “Valtoce”], a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, ed. Tararà, Verbania 2014.


* CHIAMATA ALLE ARMI DI APPARTENENTI ALLE CLASSI 1923 – 1924 – 1925 Il Ministero della Difesa Nazionale comunica: A tutti i Capi delle province, a tutti i Podestà, a tutti i Comandi militari e dei Carabinieri.
Da oggi, ogni giorno alle ore 14,50, fino al 15 novembre, sarà comunicato per radio il manifesto di chiamata alle armi riguardante:
1) I militari dell’Esercito del secondo e terzo quadrimestre del 1924 che siano stati dimessi dalle armi e non si trovino tuttora alle armi.
2) I militari dell’Esercito appartenenti alle classi 1924 e 1923 in congedo provvisorio, che finora non si sono presentati alle armi perché rinviati o dispensati.
3) Gli appartenenti alla classe 1925 della leva di terra...


** I fucilati della Valtoce a Cambiasca il 19.01.1945 sono:
1. Camona Hermes, figlio di Camona Enrico, nato il 21/09/1925 (19 anni) a S.Ernè (Francia), residente a Gravellona Toce-Pedemonte (No), di professione scalpellino, partigiano (Div. Valtoce), morto per fucilazione il 19/01/1945 a Cambiasca.
2. Gianetti Pietro, figlio di Gianetti Francesco, nato il 01/01/1926 (18 anni) a Intra (No), residente a Intra, di professione operaio, partigiano (Div. Valtoce), morto per fucilazione il 19/01/1945 a Cambiasca.
3. Menconi Enrico, figlio di Menconi Colombo, nato il 01/01/1922 (19 anni) a Avenza Apuania (Ms), residente a Mergozzo (No), di professione operaio, partigiano (Div. Valtoce), morto per fucilazione il 19/01/1945 a Cambiasca.
4. Oliva Andrea, figlio di Oliva Pietro, nato il 23/08/1925 (19 anni) a Ornavasso (No), residente a Ornavasso (No), di professione meccanico, partigiano (Div. Valtoce), morto per fucilazione il 19/01/1945 a Cambiasca.
5. Tenconi Renato, figlio di Tenconi Giuseppe, nato il 23/05/1926 (18 anni) a Intra (No), residente a Intra, di professione operaio, partigiano (Div. Valtoce), morto per fucilazione il 19/01/1945 a Cambiasca.
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Libro Maria Giulia Cardini
Con l’autrice del volume Partigiane Liberali, edito da Rubbettino, Rossella Pace abbiamo deciso di aderire all’iniziativa, promossa dall’Istituto della Resistenza Ferruccio Parri di Milano, #RaccontiamolaResistenza. Nel 75° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, l’autrice ha voluto dedicare queste pagine alla ricostruzione della fittissima rete partigiana, messa in piedi dal Partito liberale immediatamente dopo l’8 settembre 1943, che raccolse intorno a se tutte le anime dell’antifascismo liberale, unendo vecchia e nuova generazione. Soprattutto viene esaminato il ruolo importantissimo e, per nulla secondario a quello degli uomini, svolto dalle donne liberali.

Il case study a fondamento della ricostruzione è il modello ligure con alla base la testimonianza inedita del diario di Virginia Minoletti Quarello custode insieme al marito Bruno Minoletti dell’archivio del partito liberale. Attraverso il confronto di queste pagine con le carte d’archivio, una intera vicenda, completamente messa da parte viene riportata alla luce. Viene esaminato il delicato e controverso rapporto tra il Comitato di Coordinamento Femminile Antifascista e i potentissimi, fin dalla loro nascita, Gruppi di Difesa della Donna, che videro, alla fine, il primo soccombere al secondo nonostante tutti gli sforzi della Minoletti Quarello di mantenerlo in piedi a Genova, tanto da farle annotare il 3 novembre 1944 nel suo diario con un moto di delusione: Io stessa credo di aver servito anche troppo a questa causa, più mi pare vuota di contenuto spirituale e satura di ambizioni egoistiche e di esibizionismi vanitosi.

Il sottotitolo del volume recita: organizzazione, cultura, guerra e azione civile, tutte attività che in queste pagine si ritroveranno svolte da questi potenti matriarche, a supporto del braccio armato dell’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno, che nulla avevano da invidiare alle compagini socialiste, comuniste e azioniste, con le quali collaborarono nel modo più proficuo possibile durante quei 20 mesi di guerra.

Emblematica è poi la vicenda di Maria Giulia Cardini, l’unico caso di donna a capo di una cellula di soli uomini, impegnata nella missione alleata Chrysler in Alta Italia.

 Da tutto ciò emerge un arcipelago resistenziale liberale al femminile, che diede non poco e che si spese con ogni forza per la liberazione del Paese e che dopo 75 anni ci è sembrato importante restituirgli il giusto riconoscimento.


In un contesto resistenziale residuale come quello liberale, «sognocentrico», trascurata o assente è stata la parte relativa alla partecipazione femminile. La quale rivestì, al pari delle altre componenti, un ruolo rilevante e di primo piano, emerso dall’analisi diretta delle fonti archivistiche.

La memoria della Resistenza al femminile è stata limitata dal silenzio, soprattutto in casa liberale, di tante protagoniste di quegli anni duri.

Eppure, i liberali avevano dato vita ad una importante rete partigiana in tutto il Nord Italia, che arrivava fino a Roma, e nella quale le donne avevano un ruolo decisivo. Grazie al funzionamento di questa rete le notizie da Milano arrivavano a Genova e poi a Torino e viceversa. I personaggi che troviamo coinvolti nei fatti genovesi sono gli stessi che troveremo poi a Torino con Edgardo Sogno e a Milano con Riccardo Banderali.

Il presente studio, con alla base, proprio, la testimonianza del diario di Virginia Minoletti Quarello (Interno 10. Pagine di cospirazione genovese) relativo al periodo 1940 -1944, si concentra principalmente su alcuni gruppi, all’inizio attivi soprattutto in Liguria, e si fonda sulla esistenza di una “rete liberale” (la grande famiglia », per usare le parole di Benedetto Croce) che si sviluppò grazie a figure di potenti matriarche, le quali con alle spalle un solido background familiare e culturale “educavano” le giovani generazioni. Importanti i casi di Lavinia Taverna a Roma, Giuliana Benzoni, Nina Ruffini, Mimmina Brichetto Arnaboldi a Milano, Cristina e Costanza Casana a Torino e, nella fase cui il diario fa riferimento, Virginia Minoletti Quarello a Genova, dove ritroviamo anche la figura di Maria Eugenia Burlando “la bibliotecaria” del volume La Grande Bugia di Giampaolo Pansa.

Limitarsi ad inserire una ricerca sulla partecipazione delle donne liberali alla guerra partigiana nel quadro più ampio della storiografia sulle donne nella Resistenza, significherebbe in realtà sminuire quelle figure, continuandone la sottovalutazione, e ghettizzandole. L’analisi delle fonti primarie ha invece evidenziato non solo che molte partigiane liberali agivano in proprio e in funzione coadiuvante degli uomini, ma inoltre che anche esse, al pari di comuniste, socialiste, azioniste, cattoliche ebbero un ruolo di primo piano nell'organizzazione, nel coordinamento, nella direzione della lotta. Si pensi al Comitato di Coordinamento Femminile Antifascista, che non avrebbe avuto nessun modo di emergere se paragonato ai ben più importanti Gruppi di Difesa della Donna che fin dal momento della loro costituzione e del riconoscimento da parte del CLNAI attrassero a se la stragrande maggioranza delle donne; alla esperienza di Maria Giulia Cardini, prima militante della Beltrami, poi della Franchi, che con il nome di Antonio svolgeva le funzioni di capocellula all’interno della più vasta operazione alleata Chrysler e unico caso, fino ad ora rintracciato, di donna liberale, a capo di una squadra di uomini. O a tutte le donne la cui opera cruciale viene messa in luce soprattutto dalle carte contenute nell' Archivio Sogno, e a tutte quelle che diedero il loro apporto alla «resistenza civile», in appoggio al braccio armato liberale rappresentato dalla Organizzazione Franchi.
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Maria Giulia Cardini
Cardini Maria Giulia, “Ciclone”, “Antonio” (Orta 20.06.1921 – Orta 19.10.2014), insegnante di matematica e fisica, ha occupato a lungo la cattedra all'Istituto Tecnico di Quarto Oggiaro, uno dei quartieri più disagiati di Milano. La scuola e l'insegnamento sono state al centro della sua attività, sempre improntata all'esperienza vissuta da protagonista nella Resistenza. Nel 1940 si iscrisse al Politecnico di Torino dove frequentò un gruppo di docenti e di studenti che dopo l'8 settembre del '43 si organizzò nella Resistenza. Anche a lei, ribelle per natura, sembrò una scelta quasi ovvia opporsi ad un regime a cui neanche il padre Romolo aveva mai aderito. La Cardini assunse inizialmente un ruolo di collegamento tra il Comando Militare di Torino e il CLN di Novara, Borgomanero, Omegna; poi si collegò all'organizzazione Franchi per la formazione di gruppi armati nel Canavese e in Val d'Aosta. A maggio del 1944 fu arrestata a Torino come membro del CLN, con le accuse di costituzione di banda di ribelli e insubordinazione armata, propaganda antinazionale (fascista) e apologia di propaganda liberale, venne quindi deferita al Tribunale speciale e condannata a morte. Iniziò a scrivere un diario rimasto incompiuto. Grazie a uno scambio di ostaggi con la figlia del Console di Germania a Torino, rapita da Edgardo Sogno nella sua festa di fidanzamento,Maria Giulia venne rilasciata e messa sotto sorveglianza. Sorveglianza che riuscì ad eludere per interessamento di amici fidati, ritornando ad Omegna dopo varie peripezie. A fine luglio del 1944 riprese l'attività di collegamento tra il CLN di Milano e le Valli Ossolane. Dopo un nuovo mandato di cattura entrò a far parte della Divisione Alpina Beltrami. Durante la Repubblica dell'Ossola fu a Domodossola dove si occupò di portare assistenza nei comuni della valle, frequentò l'amico d'infanzia Licinio Oddicini, redattore del giornale “Liberazione”, ed i cugini Chiovenda di Premosello, presso i quali prese temporanea dimora. Dopo la caduta dell'Ossola Libera, non riparò in Svizzera, ma tornò in Val Strona da dove riprese l'attività nel SIMNI, diretto da Aminta Migliari, come capocellula nella Missione americana Crysler Mangosten. Proprio dagli americani ricevette importanti riconoscimenti militari nell'immediato dopoguerra, poiché l'esercito italiano all'epoca non prevedeva per le donne il servizio effettivo. Tornò a Torino dove, nel 1945 fu fondatrice e condirettrice della rivista culturale Agorà; nel 1947 si laureò in fisica.
In età avanzata, completò la sua attività didattica con i corsi di Astrofisica presso l'Università della Terza Età a Novara, mentre il suo impegno politico come liberale fu costante e particolarmente apprezzato nell'Amministrazione Comunale di Orta.

Maria Giulia Cardini, ancora poco conosciuta nell'ambito resistenziale, è stata una donna straordinaria che l'8 settembre 1943, la data della verità, ha scelto senza esitazione da che parte stare: dalla parte di un'Europa libera e democratica o dalla parte dell'oppressione dittatoriale? - Cfr. “L'Italia degli studenti”- e lei ha scelto la libertà! Con tutte le conseguenze di questa scelta... “dar retta alla voce che avevamo dentro” più imperiosa di qualunque ordine proveniente dall'alto...
Un sentiero stretto in salita, pieno di insidie, ma lei è andata drìtta su per questa strada, senza paura, da vera donna abituata ai sentieri di montagna, senza rimpianti per una vita dorata: neppure quando fu condannata a morte e rinchiusa in attesa dell'esecuzione nelle carceri Nuove di Torino; neppure quando scappò calandosi dal canale di gronda della casa di Barbò a Milano; neppure quando volle ritornare con il “Barba”- Vincenzo Beltrami - dalla Val Formazza alla Val Strona... provate a leggerle le condizioni di quella marcia... sotto la pioggia e con la prima neve autunnale! E poi l'inverno del '44/'45, il più duro di tutta la guerra! Proprio quando pensava di avere un minimo di respiro per gli scampati pericoli, quando credeva che nella recondita Val Strona ci fosse qualche nascondiglio sicuro... come diceva il proclama Alexander...- tornate a casa per l'inverno, le operazioni riprenderanno a primavera... - davvero? - ….I nazisti e i fascisti sarebbero stati anche loro ad aspettare la primavera?-... Noo... E i partigiani senza fuoco...senza cibo.. senza giacilio... ma questo a lei non pesava, era giovane, era forte, ormai era abituata alle privazioni e alla vita clandestina. “..Significava calcolo, sangue freddo, costanza e morti, morti, morti...” (Resistenza in Agorà)
Il passo da staffetta di collegamento ad agente segreto fu la cosa più semplice e naturale del mondo. Ancora una volta senza esitazione. Lei mi raccontava che era l'unica donna a saper remare; e poi a saper nuotare, a non avere paura del buio, ad avere una dàrsena d'attracco sul lago ad Orta, a camminare con agilità in montagna e quindi... logico... toccava a lei fare avanti e indietro dalla Val Strona al Mottarone nelle notti senza luna, le più buie, perchè c'era il lago d'Orta da attraversare in barca... e lei, sapeva anche remare! Così mi raccontava, con la serietà che la distingueva e con la convinzione di aver fatto solo lo stretto necessario, senza nessun vanto, semmai con il piacere di essere immersa in uno scenario naturale di incomparabile bellezza. Ma di una cosa era certa: le battaglie sì, erano importanti e combattute con passione, ma con mezzi talmente scarsi, che era quasi impossibile vincerle. Per lei, che pure visse da protagonista tutte le fasi della Resistenza, ciò che è stato decisivo per la vittoria nostra e alleata, insieme, fu il servizio di intelligence che diede agli Alleati informazioni fondamentali al momento giusto, per operare le scelte strategiche vincenti. E le informazioni le davamo Noi, solo Noi: questi sono gli Italiani, questa è l'Italia Libera.

Per saperne di più:

- Maria Giulia Cardini, Resistenza in Agorà, letteratura musica arti figurative architettura, anno II n.4 e 5 di aprile maggio pagg.34,35,36, Torino dalla Tipografia Editoriale Commerciale Artistica T.E.C.A.ottobre 1945 - 1947. Direttore artistico responsabile: Giacomo Contessa, Condirettore: Maria Giulia Cardini, Torino 1946.
- “Nome di battaglia Ciclone”, Testimonianza in In cielo c'è sempre una stella per me diario di Giorgio Buridan (il redattore del giornale “Valtoce”), a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, ed. Tararà, Vb 2014.
- Fiorella Mattioli Carcano e Adriana Macchi, Intitolazione del giardino comunale a Maria Giulia Cardini, Città di Orta San Giulia, 2015
- Margherita Zucchi, Maria Silvia Caffari con il prezioso contributo della figlia Adriana Macchi, “Dalla condanna a morte alla laurea in fisica” su Nuova Resistenza Unita, Anno XX n.1 pp. 12,13, Ass. Casa della Resistenza VB, 2020.
- Rossella Pace, Maria Giulia Cardini in Partigiane liberali - organizzazione, cultura guerra e azione civile, Rubettino, Roma 2020
- “Maria Giulia Cardini” in Leggere la Resistenza – dalle formazioni autonome alla cittadinanza consapevole a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Margherita Zucchi, Museo della Resistenza “Alfredo Di Dio”, Raggruppamento Divisioni Patrioti”Alfredo Di Dio”, FIVL, patrocinio dell'ISRN “Piero Fornara”, Omegna 2020, in corso di pubblicazione.
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Giancarlo Puecher
Figlio del notaio Giorgio Puecher Passavalli, appartenente a una benestante famiglia di origini nobili trentine, Giancarlo Puecher nacque a Milano il 23 agosto 1923. Considerò sua guida morale il padre, di idee liberali e antifascista e fu educato ai valori cristiani dalla madre Anna Maria Gianelli, che morì dopo lunga malattia, il 31 luglio 1941, lasciando grande sconforto nella famiglia, oltre a Giancarlo, i figli più piccoli Virginio, di 15 anni e Gianni di 11 anni.
Frequentò il ginnasio al liceo Parini, presso i gesuiti dell'Istituto Leone XIII, poi la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano, abbandonando gli studi per arruolarsi volontario nel luglio 1943 nella Regia Aeronautica come allievo ufficiale pilota. Non riuscì però a completare l'addestramento e a essere incorporato nell'aviazione prima dell'8 settembre e dell'occupazione tedesca. Con la famiglia era sfollato per la guerra nella villa di loro proprietà a Lambrugo, nei dintorni di Erba, che divenne centro tra i primi della Resistenza. Qui Giancarlo, a seguito di contatti con Luigi Meda esponente dei cattolici democratici di Milano, e il prete Don Giovanni Strada, parroco di Ponte Lambro, riunì e guidò un gruppo di giovani patrioti antitedeschi e antifascisti, che costituirono il nucleo primario della resistenza in Brianza. Ma già durante il disfacimento dell’8 settembre, la famiglia Puecher aiutò gli sbandati ad avviarsi verso il confine, e a procurare ogni aiuto ai giovani nascosti in montagna. Al gruppo partigiano riunito intorno a Giancarlo Puecher, si era unito Franco Fucci (Brescia 1920 – Milano 2013, giornalista e scrittore), ex alpino in Grecia, vicino agli ambienti democristiani, arrivato ad Erba dopo l’armistizio. Franco e Giancarlo riconosciuti nel gruppo i due comandanti. Già tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 1943, il gruppo di Puecher si era orientato verso il combattimento attivo, con opere di sabotaggio alle linee telefoniche tedesche nella zona di Canzo e Asso, la requisizione di una automobile tedesca davanti alla Stazione Centrale di Milano, il recupero al Crotto Rosa di Erba di materiale militare e di cavalli e muli che vengono dati ai contadini, il volantinaggio inneggiante alla libertà della patria al monumento dei caduti di Erba, su cui viene issato il tricolore.
A seguito dell’uccisione di due repubblichini da parte di ignoti, e ormai note ai fascisti le attività del gruppo Puecher, Giancarlo fu arrestato il 12 novembre 1943 mentre è insieme a Franco Fucci che, gravemente ferito, dopo le cure resterà in carcere fino alla liberazione. Il 15 viene arrestato anche il padre di Giancarlo, i due potrebbero fuggire con l’aiuto di amici, ma rifiutano per non abbandonare gli altri compagni incarcerati. Giorgio Puecher fu inviato a Fossoli poi a Mauthausen dove morì il 7 aprile 1945 per stenti. In Via Broletto 30 a Milano, dove aveva abitato la famiglia Puecher in una casa distrutta nel bombardamento del 16 agosto 1943, è stata collocata una Pietra d’inciampo al suo nome.
Giancarlo, interrogato e torturato in carcere a Como, il 14 novembre 43, non si lasciò intimorire; ma il 20 dicembre essendo stato ucciso uno squadrista, sebbene estraneo al fatto, Giancarlo venne accusato e condannato, in un processo farsa, da un tribunale militare straordinario presieduto da tenete colonnello Biagio Sallusti. L'assurdità del processo fu tale che lo stesso Guardasigilli della RSI lo dichiarò nullo e arbitrarie le condanne, tuttavia nessuno, neppure nel dopoguerra pagò per la riconosciuta irregolarità del processo. Giancarlo Puecher, innocente, fu fucilato al cimitero Nuovo di Erba la sera del 21 dicembre, perdonando i componenti del plotone di esecuzione, militi delle Brigate Nere, gridando a gran voce sopra gli spari “Viva L’Italia Libera”. Il sacerdote Fiorentino Bastaroli, che lo assistette nelle ultime ore, scrisse al padre di Giancarlo una lettera in cui descrive la serenità e il coraggio del suo ragazzo. L’ultima lettera di Giancarlo Puecher è pubblicata in Lettere di condannati a morte della Resistenza europea. Una divisione del Raggruppamento “Alfredo Di Dio”, porta il nome di Giancarlo Puecher.

I Volontari e le Volontarie del Museo della Resistenza
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L'EDMONDO bravissimo amatore di libertà e di Patria, morì in questa luce il 15 aprile 1945, gridando “La vita per l'Italia
'L'EDMONDO bravissimo amatore di libertà e di Patria, morì in questa luce il 15 aprile 1945, gridando 'La vita per l'Italia'.
Da quel giorno è rinato agli Italiani e agli uomini, tutti che onorano le virtù.'
 Il volantino su carta azzurra della 'Valtoce', tra stupore e sbigottimento, annuncia la morte di 'Mondo'. Morte avvenuta a notte fonda del 14 aprile, come ci ricorda la lapide posta sul luogo della fucilazione, al ponte del torrente San Carlo a Ornavasso. Vogliamo ricordarlo con le parole che il redattore di 'Valtoce' scrisse al suo rientro dalla Svizzera, persona che la mamma di 'Mondo' avrebbe voluto conoscere per ringraziarlo di quei pensieri, lei che andò con il marito a prendere la salma all'alba del 15 aprile per ricomporla e per portarla al cimitero senza nessuno: allora il divieto di funerali pubblici era imposto dalla dittatura fascista, oggi da ragioni di carattere sanitario. Il fratello più piccolo, Angelo, ha custodito gelosamente questo fragile foglietto azzurro per farne dono al Museo della Resistenza di Ornavasso. E noi abbiamo il dovere di far conoscere a chi non ci pensa proprio più che dal 1943 al 1945 morivano, morivano i giovani, nel fiore dell'età e della salute... morivano perchè ardente era il loro desiderio di libertà, viva l'immagine della Partia soffocata dalla dittatura, consapevole il loro sacrificio per vincere gli invasori, proprio come nel primo Risorgimento. Patrioti, si chiamavano e, come 'Mondo' morivano al grido 'La vita per l'Italia'. E noi delle generazioni successive, noi che abbiamo goduto di questa libertà donata - non conquistata -, noi che abbiamo raccolto i frutti del sacrificio, noi che oggi dovremmo aver capito (almeno un poco per le limitazioni della pandemia), noi.... come potremmo dimenticare quei giovani eroi della Libertà?

 Le volontarie e i volontari del Museo della Resistenza.

 Per saperne di più:
- Testimonianze di Angelo Rossi, Adriano Rossini, Giovanni Rimella in 'In cielo c'è sempre una stella per me' di Giorgio Buridan (il redattore del giornale 'Valtoce'), a cura di Maria Silvia Caffari e Margherita Zucchi, ed. Tararà, Vb 2014.
- AA.VV.'Ricordi della Resistenza', guida del Museo della Resistenza 'Alfredo Di Dio' di Ornavasso, CMVO, Raggruppamento Divisioni Patrioti 'Alfredo Di Dio', ed. Aligraphis, Gravellona Toce 2004.
- Fausto Del Ponte, 'Non sei morto, Edmondo!' in 'Valtoce', supplemento al n. 15 di 'sabato' - responsabile Luigi Santoro, Novara 1964; ripreso in nuova edizione in 'Valtoce', supplemento a 'Comune Informa' - periodico di informazione a cura del Comune di Ornavasso, Ornavasso 2015.
- Enrico Massara, 'Assalto al treno' e 'La vita per l'Italia Rossi Edmondo' in 'Antologia dell'antifascismo e della Resistenza novarese', Istituto Storico della Resistenza 'Piero Fornara', Grafica Novarese, Novara 1984; riportato in 'Mondo' W l'Italia di AA.VV. 'Leggere la Resistenza' a cura di Maria Silvia Caffari, Grazia Vona, Margherita Zucchi, Museo della Resistenza 'Alfredo Di Dio' di Ornavasso e Raggruppamento Divisioni Patrioti 'Alfredo Di Dio', di prossima pubblicazione.
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Giornata del Ricordo e della Riconoscenza 75° anniversario
Anche quest’anno, il prossimo 12 ottobre, avrà luogo a Cursolo la cerimonia di commemorazione dell’eccidio al Sasso di Finero.
Un’occasione importante per ridare luce a importanti frammenti di Storia che hanno lasciato in Valle Cannobina segni indelebili e testimonianze preziose su quello che potremmo chiamare lo “Spirito della Resistenza”. Nella giornata del 12 ottobre 1944 il Comandante Alfredo Di Dio e il Colonnello Attilio Moneta caddero vittime presso il Sasso di Finero in territorio di Cursolo, di un agguato teso dalle forze fasciste e tedesche. Eccidio cui seguì poco dopo, la fine della Repubblica dell’Ossola, esperienza democratica, unica, e che stupì il mondo perché realizzatasi in tempo di guerra.
Dunque un appuntamento con la storia, sia per dovere di riconoscenza nei confronti di chi ha lottato non solo a parole per un mondo migliore, sia come insegnamento della Storia, affinché certi errori non abbiano a ripetersi. E’ con questo spirito che verrà vissuto il 75° anniversario, e che come di consueto vedrà la partecipazione di autorità, partigiani, parenti di partigiani e gente di Valle Vigezzo e Cannobina.
Dunque una giornata ricca di stimoli culturali e storici, ma anche di grande attrazione paesaggistica. Occasione unica per apprezzare i luoghi della Valle Cannobina teatro di ante vicende legate alla Resistenza: storia e territorio, un contesto inscindibile che spesso ha condizionato il corso delle vicende umane.
L’evento, organizzato dal comune di Valle Cannobina, dal Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio, dal Museo Partigiano di Ornavasso, di concerto col comune di Ornavasso e della F.I.V.L. (Federazione Italiana Volontari della Libertà), inizierà alle 9.45 presso il cimitero di Malesco, e dopo alcune tappe per l’omaggio ai caduti presso l’area monumentale di Finero e al Sasso di Finero in Comune di Valle Cannobina, si concluderà nella bella piazza di Cursolo di fronte al monumento ai caduti. A cura del Prof. Pier Antonio Ragozza l’orazione ufficiale e di Don Pierino Lietta una breve ma intensa cerimonia religiosa.
Il tradizionale pranzo “partigiano” avrà luogo quest’anno presso il Ristorante Belvedere di Orasso.
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In ricordo di Guido De Carli, Presidente emerito FIVL

Guido De Carli, nato a Cornaredo nel 1923, trasferito presto a Cuggiono, è uno dei ragazzi di Don Albeni , splendida figura di sacerdote educatore alla libertà , coadiutore dell’oratorio che ha indirizzato allevato una schiera di resistenti : Angelo e Pinetto Spezia, Bruno Bossi, Gianangelo Mauri , Giovani Marcora.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si costituiscono tra Cuggiono e Inveruno e zona i primi gruppi partigiani: tra questi esponenti anche Guido, che sarà un importante figura all’interno delle neonate formazioni, che appena organizzate diventeranno la Gasparotto (e la Ticino per stare solo in zona). Formazioni al piano, di supporto logistico e organizzativo alla Resistenza: salgono i giovani a Pian Cavallo (per indicazione di Nino Chiovini, residente a Cuggiono ma proveniente da là) e poi in Val d’Ossola e Val Toce: frequenti continui scambi anche con Busto, dove Luciano Vignati tiene le redini ed il collegamento di tutta la Resistenza.


E Guido funge da staffetta –coordinatore, in quanto essendo minuto e un po’ cagionevole viene ricoverato nella casa di cura a Miazzina ma deve effettuare analisi e verifiche all’ospedale di Busto Arsizio. Ottiene così un lasciapassare di potersi muovere liberamente dalla Val Grande a Busto. Il suo soprannome partigiano è Ranin (ranetta), ragazzo esile.


L’imprimatur della Resistenza lo porterà ad impegnarsi per tutta la vita a favore degli ideali e dei valori di libertà e di pace. Nel settembre 1963 Albertino Marcora e Luciano Vignati fondano il Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio, per dare seguito all’esperienza nata come movimento militare nel dicembre 1944.E qualche anno dopo la modifica dello statuto del 1987, Guido succede a Cesare Bettini alla presidenza del Raggruppamento. Presidenza che terrà ininterrottamente fino al febbraio 2017. La sede si stabilisce in Via Espinasse dove si raccolgono via via tutte le testimonianze, i libri, i cimeli, le documentazioni della guerra partigiana.


Ma il suo impegno è anche impegno civile: assessore a Cuggiono, poi membro della direzione provinciale scudocrociata, economo all’Ospedale; negli anni ’60 è assessore a Turbigo, dove si è sposato con Agnese Lazzaroni, nella Giunta del sindaco Paratico; nel 1967 è segretario generale dell’ospedale di Bollate: nel 1992 è nell’ufficio di segreteria del presidente della Regione Lombardia Giuseppe Guzzetti.


Alla morte di Marcora nel 1983 saranno i partigiani della Gasparotto a portare il feretro: Guido è in prima fila, e sarà in prima fila per decenni come testimone attivo a tutte le manifestazioni organizzate dal Comune di Inveruno e dal Centro Studi Marcora: i vari premi europei, le ricorrenze degli anniversari, la presentazione di libri, le inaugurazione: lui e i suoi fazzoletti azzurri sempre numerosi e orgogliosi col loro medagliere onusto di riconoscimenti.


Ma il suo impegno era soprattutto rivolto ai giovani, che incontrava nei ricorrenti appuntamenti, sia alle Medie che alle Superiori della zona per ricordare e sottolineare l’importanza del rispetto e della trasmissione dei valori della Resistenza alle nuove generazioni.


Per le ricorrenze natalizie riempiva sempre il salone della sede di Via Espinasse. Dopo la S.Messa in ricordo dei partigiani caduti eseguiva la puntuale commemorazione dei deceduti nell’anno.


Il rapporto coi sindaci e le comunità locali, oltre a quelle di Busto, dell’Alto milanese e della valle Olona, cosi come quelle della Val Grande, della Val d’Ossola, Val Toce, Val Strona, Val Cannobina era una sua costante preoccupazione, per evitare di dimenticare o non presenziare alle varie celebrazioni, da quelle della Repubblica dell’Ossola alla Giornata del Ricordo dell’eccidio di Finero e della morte di Alfredo Di Dio o alle varie adunanze partigiane soprattutto al Boden di Ornavasso.


In occasione del 70° della Liberazione, nel novembre 2015 aveva organizzato una grande cerimonia in Comune a Busto per l’assegnazione delle medaglie ai partigiani e degli attestati a ciascun sindaco dei comuni dell’Alto Milanese, Valle Olona per” il contributo dato alla Resistenza e alla lotta per la Libertà e la Democrazia sul suo territorio “.


Col prefetto Giorgio Zanzi ed il sindaco Gigi Farioli aveva consegnato ancor fermo (per l’occasione aveva abbandonato il bastone che ormai aveva incominciato ad usare) le medaglie e gli attestati. Ma prima ancora ,nell’aprile aveva ricevuto a sua volta a Roma dal ministro Pinotti la medaglia d’onore come partigiano e come presidente della FIVL ,Federazione Italiana Volontari della Libertà ,presidenza che ha tenuto con capacità e competenza per oltre dieci anni ,dal 2008.Cosi lo ricorda il nuovo presidente Tessarolo, succedutogli all’inizio del 2017:”mi ha colpito la sua passione e la sua generosità, unite ad una costanza ed ad un impegno inarrestabili ,gli stessi tratti che accomunavano i protagonisti della Resistenza, tutti intransigenti verso se stessi prima che verso gli altri ,limpidi e diritti, liberi e intensi come recita la preghiera del Ribelle bel beato Teresio Olivelli”.


Da presidente del Raggruppamento aveva organizzato con un impegno continuo grazie anche all’aiuto del senatore Giampietro Rossi, il trasferimento della sede da Via Espinasse alla Casa del 900 ,Villa Tovaglieri, ma soprattutto la donazione al Comune di Busto di tutto il patrimonio digitalizzato del Museo Partigiano, ora disponibile su internet ,assieme a quello dell’altro museo del Raggruppamento , quello di Ornavasso (val Toce) ,due pietre miliari per la conservazione della storia della Resistenza .


In accordo con Mario Colombo aveva informato di tutte le iniziative, soprattutto quelle del 70°, gli amici della missione statunitense Chrysler Mangosteen, in particolare il tenete Icardi, il capitano Corvo e sottotenente Daddario e tutta l’OSS (Organisation Startegic Service) con una pergamena di ringraziamento (autunno 2016) che diceva “ I’m glad to transmit you a Thanking Parchment in memory of the help received in the Liberation of Italy-cooperating with our Resistenza “.


Negli ultimi tempi non riusciva più a tornare a Busto e dall’alto della casa sulla punta di una collinetta del comune di Premeno che spaziava su tutto il lago Maggiore ci incoraggiava comunque; voleva essere informato di tutte le iniziative e non si stancava di dare suggerimenti, con la voce sempre più incerta.


In giugno 2017 una rappresentanza del Raggruppamento, composta dal presidente e vice presidenti (Mainini,Vignati,Tosi,Mariani) gli aveva recapitato in una semplice cerimonia un attestato di ringraziamento “ in riconoscimento del contributo offerto alla lotta partigiana di cui ha condiviso i rischi e gli impegni diventando esempio di autentica educazione alla libertà e alla democrazia. E per la sua lunga appassionata, competente testimonianza dei valori della Resistenza alla guida per tanti anni fecondi del Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio e della FIVL-Federazione Italiana Volontari della Libertà”.


Con lui se ne va un pezzo di storia, della nostra storia comune.


Gianni Mainini


Presidente Raggruppamento


Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio

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